IL GRUPPO CORAZZATO "M"LEONESSA
DAL 25 APRILE AL 05 MAGGIO 1945
Ai primi di aprile 1945 agli Ispettorati Regionali ed ai Comandi Provinciali della G.N.R. pervenne dal Comando Generale una riservata personale a firma del Generale Nicchiarelli, Capo di Stato Maggiore della G.N.R., avente ad oggetto: "esigenza Zeta". Quella diretta al Comando di Torino era del seguente tenore:
"L'eventuale movimento di ripiegamento, quando iniziato, deve essere condotto, sull'intinerario stabilito e successivamente proseguito, senza soste, sino a Lecco per concludersi in Valtellina.
A Lecco dovete prendere accordi con locale Comando Tappa della G.N.R. che vi indicherà la località da raggiungere.
Qualora improvvise ed imprevedibili emergenze rendano difficile od impossibile il ripiegamento sull'intinerario già previsto potrete apportare agli intinerari prescritti quelle variazioni che la situazione contingente imporrà o consiglierà.
L'essenziale é raggiungere col massimo numero di uomini e la maggiore quantità possibile di materiale (specialmente munizioni e viveri), la Valtellina.
Per raggiungere tale essenziale scopo dovrete agire con massima energia.
Poiché non é possibile prevedere l'eventuale corso degli avvenimenti e lo sviluppo della situazione potrebbe impedirmi di impartirvi le disposizioni necessarie, vi accordo, in merito a quanto sopra, l'indispensabile libertà di azione.
Restano ferme le istruzioni a suo tempo impartite circa le modalità del ripiegamento (A-tempestivo; B-improv viso)".
Tutti i reparti della Leonessa da Piacenza (sotto l'incalzare della avanzata degli angloamericani), da Milano, da Bergamo e da Torino, iniziarono il ripiegamento in esecuzione alla Riservata "Esigenza Zeta" del Comando Generale della G.N.R.
Rievochiamo le vicende dal 25 aprile al 05 maggio 1945 dei Reparti della Leonessa per porre in risalto che tutti i reparti della Leonessa effettuarono il ripiegamento con lo scopo di raggiungere la Valtellina e che la "Leonessa" della R.S.J. con assoluto ed incontestabile spirito di dedizione, dimostrò di essere degna della "Leonessa" d'Africa, d'Albania e della Russia.
I reparti che formavano il distaccamento costituirono l'avanguardia della colonna che nella notte fra il 25 ed il 26 aprile 1945 si trasferì da Milano a Como ove giunse nella mattinata del 26 aprile.
Il Tenente
Morandi così ricorda i preparativi della partenza:"dopo la notizia che si deve lasciare Milano, in Caserma fervono i preparativi: si parla della ridotta della Valtellina" come ultima meta e gli animi sono preparati all'ultima resistenza; si spera che anche gli altri reparti della "Leonessa" raggiungano la Valtellina. Tutti i reparti della Leonessa in ripiegamento da Torino e dall'Emilia verso la Lombardia, erano convinti di ritrovarsi uniti nella "ridotta dellla Valtellina
I reparti della Leonessa ripiegati a Como da Milano seguirono le sorti degli altri reparti delle FI'.AA. della R.S.I. concentrati a Como.
Intinerario del ripiegamento dei Reparti del Gruppo Corazzato "Leonessa" dislocati nel Piacentino del 28 - 29 e 30 aprile 1945
28 aprile
Ore 04,30 traghettato il fiume Po con sei prigionieri di guerra americani al seguito, presso il traghetto di:
San Rocco al Porto (ultimo traghetto, fatto saltare)
Guardamiglio (combattimento per entrare in paese poi mitraglia mento aereo da parte di tre
cacciabombardieri americani Thunderbolt P 47, uno dei quali abbattuto e precipitato)
(altro combattimento; evitati per poco sette aereiSomaglia Lodigiana
americani Lightning P 38)
Ospedaletto Lodigiano Livraga (primo pernottamento).
29 aprile
Borgo Littorio (Borghetto Lodigiano?)
S.Angelo Lodigiano (in questo secondo giorno continui agguati ed imboscate da parte
dei partigiani, sempre decisamente respinti)
Landriano
Siziano
Locate Triulzi (secondo pernottamento?)
30 aprile
S.Giuliano Milanese (fin dal primo mattino seguiti da aerei leggeri da ricognizione americani)
Caleppio
Trucazzano
Trecella (ore 17,00: resa alle truppe americane della 36a divisione corazzata "Texas" ??)
Proseguimmo il cammino, sempre inquadrati e nel più perfetto ordine, dirigendoci verso Somaglia Lodigiana: anche qui trovammo i partigiani e fu giocoforza aprirci la strada con le armi.Passando per Ospedaletto Lodigiano giungemmo alla sera a Livraga, dove pernottamo sempre con gli occhi aperti.Al mattino del 29 aprile attraversammo Borgo Littorio (forse l'attuale Borghetto Lodigiano), poi, sempre fra continui agguati ed imboscate, sempre decisamente respinti, dirigemmo verso 5. Angelo Lodigiano, Landriano, Siziano e Locate Triulzi.
]I combattimenti erano cessati, dopo un colloquio fra il Tenente Loffredi ed un capo partigiano; non so che cosa si siano detti.
Al mattino del 30 aprile, passammo per San Giuliano Milanese, deviando verso Nord-Est. Fin dalle prime ore prese a seguirci un piccolo aereo da ricognizione americano, forse un Cessna Bird Dog o uno Stinson, il quale evidentemente segnalava alle truppe a terra tutti i nostri spostamenti.
Continuammo la marcia in direzione di Caleppio, Trucazzano eTrecella, dove giungemmo nel tardo pomeriggio.Il Tenente Loffredi si era recato a parlamentare con alcuni ufficiali americani e al suo ritorno radunò il reparto, ci tenne un breve discorso, dicendoci che ormai era tutto finito,che la situazione non consentiva ulteriori resistenze, che eravamo tutti giovani e con un avvenire davanti a noi e che perciò era opportuno arrenderci: provai una stretta al cuore, esattamente come l'otto settembre 1943.
I reparti che formavano questo distaccamento al comando del Tenente
Loffredi iniziarono il ripiegamento il 26 aprile, unitamente a due battaglioni della 29A divisione SS italiana, diretti verso la Lombardia.Un plotone carri M 14, in posizione di retroguardia, al comando del sottotenente
Armando Rinetti sostenne un furioso combattimento. Eccone la rievocazione dell'ausiliaria Ilia Galesi la quale era in forza ad un Reparto di Ausiliarie (S.A.F.) del Comando Provinciale della G.N.R. di Piacenza che ripiegò verso la Lombardia con la Leonessa. L'ausiliaria Ilia Galesi fu testimone e partecipante di quel fatto d'arme che registrò l'eroico comportamento del giovanissimo a noi caro ed indimenticabile Rinetti. Così come a noi superstiti sono cari ed indimenticabili tutti i Caduti della Leonessa."Il cielo era un pò grigio quel mattino, i battaglioni nemici avanzavano per superare il Po verso la pianura di Lombardia. Ovunque, lontano, osanna di campane e di bandiere. Ma tutto ciò aveva per noi un suono falso perché l'Italia, l'Italia vera, era con noi che soffrivamo, con noi che piangevamo, con noi che morivamo.
Armando Rinetti, di vent'anni, sottotenente, studente universitario, in quella mattina grigia uscì dalla Caserma di Piacenza con il suo carro. Con lui altri tre carri. Sembrava una follia, quattro carri condotti da ragazzi contro un nemico tanto potente. Eppure quei carri per tre ore fecero segnare il passo al nemico. "Scostatevi", comandavano le granate, "Italia, Italia, Italia", rispondevano i ragazzi. "Vi ammazzeremo", dicevano ancora le granate, "Italia, Italia, Italia", rispondevano ancora i ragazzi e sorridevano sotto tutto quel fuoco e, senza spostarsi, rispondevano con i loro piccoli cannoni. Gli scoppi si susseguivano e le granate scoppiavano attorno al carro di Rinetti come chicchi di grandine su un albero in fiore. Il carro traballava ad ogni colpo ma sparava ancora. Attorno gli altri carri e tanta solitudine. "Ma é dunque pazzo?", si chiedevano i muri delle case bucherellate, le piante smozzicate, le schegge roventi delle granate. Era pazzo Armando Rinetti, erano pazzi i suoi pochi carristi. Pazzi per la Patria." Italia, Italia, Italia"! Poi il carro non rispose più ai comandi, era stato dunque ucciso il suo generoso cuore di acciaio? Armando guardò i suoi carristi. "E finita ragazzi. Andate. State finché potete dietro al carro. Io resto, sparero finché vi vedo al sicuro". "E dopo signor tenente?;» Dopo? Dopo, vengo anch'io".
"Ma sapeva che'era assurdo dire loro così'. Ad ogni attimo che passava, il nemico si avvicinava al carro fermo che tuttavia rispondeva ancora al fuoco. Gli altri carri potevano ancora muoversi e si allontanarono lenti, sparando.
"Poi su di lui scese in folla il nemico urlando e lo uccise." Ma erano nemici? No, quelli lo avrebbero catturato, l'avrebbero rispettato, forse gli avrebbero lasciato l'onore delle armi perché Armando Rinetti era stato un valoroso. Chi lo uccise non era straniero, chi lo uccise malediceva il suo valore che ancora per poco aveva fermato lo straniero, le ultime parole che udì erano italiane.
L'obbiettivo della colonna Loffredi, che aveva traghettato il Po a San Rocco al Porto la sera del 27 aprile, era quello di raggiungere Como. Durante il ripiegamento la Colonna sostenne combattimenti sia contro i partigiani sia contro le truppe americane e brasiliane, in particolare a Somaglia (Mi) il 27 aprile ed a Cassano D'Adda il 30 aprile, ove si arrese, con l'onore delle armi alle truppe brasiliane.
Dopo la resa gli uomini della "Leonessa" vennero trasferiti a Montichiari e quindi a Coltano in prigionia di guerra.
Aprile 1945 - Ripiegamento dei Reparti del Gruppo Corazzato "M" Leonessa dislocati nella zona del piacentino.
La Pasqua del 1945 cadde il primo di aprile. Io mi trovavo all'ospedale militare di Piacenza, dove ero stato ricoverato il 26 marzo in seguito ad una ferita di arma da fuoco al piede sinistro, per fortuna senza conseguenze.
Durante la degenza vidi morire il Legionario Carlo Gaffuri, giovanissimo,ferito a Gropparello. Ogui giorno venivano ricoverate persone ferite dalle bombe "a farfalla" lanciate dagli aerei americani, dagli spezzonamenti di "Pippo", o dei cacciabombardieri americani, i quali, approfittando dell'assoluta mancanza dei nostri aerei, volavano continua-mente sulla zona, mitragliando e spezzonando di tutto (compresi i ciclisti) e dovunque, in un carosello terroristico.
Quasi ogni giorno passavano numerossime formazioni di bombardieri americani B 17 (fortezze volanti) o B 24 (liberatori) diretti al Nord o in Germania.
In quell'ospedale erano ricoverati anche parecchi miei commilitoni feriti ed anche mutilati (ricordo l'amputazione di una gamba ad un Legionario), fra gli altri il Cap.
Bodda ed il Tenente Motta, saltati su una mina posta dai partigiani mentre tornavano dall'aver trattato uno scambio di prigionieri.In quei giorni saltò in aria la polveriera di San Giuseppe, situata a poca distanza dall'ospedale: fu un inferno che durò diverse ore.
Finalmente il giorno 6 aprile fui dimesso dall'ospedale, con la ferita ancora aperta e con quindici giorni di riposo dal corpo.
Per qualche giorno rimasi a Piacenza, presso la caserma di Via Mazzini, poi, presa in consegna la blindo, comincia un servizio di scorta ai nostri autocarri che facevano la spola con Montechino e Rallio per evacuare i nostri presidi là dislocati e che avevano ricevuto l'ordine di abbandonare la zona.
In occasione di uno di questi viaggi, mentre mi dirigevo a Rallio, per sfuggire ad un attacco di cacciabombardieri alleati, mi rifugiai con la blindo nel cratere di una bomba d'aereo, situato proprio in mezzo alla strada: riuscii ad evitare l'attacco per dei caccia, che mi avevano perso di vista durante la virata per il tuffo, ma al momento di uscire dal cratere si ruppe il differenziale (probabilmente per un difetto di fusione), e quindi dovetti rientrare a Piacenza rimorchiato da un camion.
Per effettuare la necessaria riparazione, bisognava recarsi a Milano, presso il nostro Comando Tappa, e perciò il giorno 23 aprile alle 0300 di mattina fui trainato da un'altra autoblindo al traghetto militare di S.Rocco al Porto, dove dovevo attendere un nostro camion Lancia 3 RO, che avrebbe dovuto portarmi a rimorchio fino a Milano.
Fui lasciato solo al traghetto con il mezzo fino a sera, quando giunse il Lancia 3 RO:
attendemmo in riva al Po per ben 3 giorni, ma non riuscimmo a traghettare a causa della continua affluenza di uomini, cavalli ed automezzi tedeschi, ormai in ritirata.
Purtroppo né io, né l'autista del 3 RO sapevamo che il fronte della linea gotica era stato sfondato e che le truppe alleate dilagavano ormai in tutta la pianura padana e che il 21 avevano occupato Bologna.
Durante quei tre giorni di permanenza al traghetto riuscii a mettere qualcosa sotto i denti una volta sola e per ciò ero veramente sfinito.
Finalmente il giorno 26 aprile ci fu trasmesso l'ordine di rientrate in caserma a Piacenza, dove giunsi, sempre trainato dal camion, alle 07 di mattina.
Non appena arrivato, trovai una certa confusione, com'é naturale in queste circostanze; appresi dello sfondamento del fronte da parte degli alleati e che quasi tutti i reparti italiani e tedeschi di stanza a Piacenza, avevano evacuato la città, ad eccezione di alcuni pochi, fra i quali il nostro, e che le truppe americane, con parecchi mezzi corazzati, erano giunte fin quasi alla periferia della città, fiancheggiate dai partigiani (mi pare della Divisione Prati), i quali, nel frattempo, erano scesi dalle montagne dell'Appennino per occupare la città.
Furono subito mandati in perlustrazione verso la Via Emila due nostri carri, un M 15 (comandata dal Vice Brigadiere Donati) ed un M 14, in direzione sud e a pochissimi chilometri da Piacenza si imbatterono in una colonna corazzata americana; ingaggiarono il combattimento, ma era chiaro che con due pezzi da 47 avrebbero dovuto soccombere:
infatti uno dei due carri fu colpito in pieno da una granata da 76 e precisamente l'M 15. Il Capo carro
Donati si salvò fortunosamente, mentre il pilota perdeva la vita con le gambe troncate di netto.A questo scontro partecipò anche un reparto della 29a Divisione SS italiana "Italien", del Battaglione degli Oddi (o Debica?) che con i panzerfaust distrusse sei carri Sherman, ma che fu a sua volta annientato.
Questo scontro ottenne comunque il risultato di fermare la baldanzosa marcia delle truppe alleate, che si schieraròno attorno alla città, dal lato sud e diedero mano ai pezzi di artiglieria, come loro solito.
Per tutta la giornata si svolsero combattimenti in città ed il periferia fra nostre pattuglie e avanguardie corazzate americane, appoggiate da partigiani.
In questi scontri perse la vita il Tenente
Rinetti, a bordo del semovente L 6 di Mimmo Bontempelli.Verso sera facemmo saltare tutti gli automezzi inutilizzabili, ivi compresa la mia blindo, oltre ai depositi di munizioni e carburanti situati nella nostra caserma. Fu in questa occasione che il Vice Brigadiere
Pietro Gottieri perse la vita, bruciato vivo colpito dalle flammate di una bomba Breda anticarro lanciata nell'L 3 di Cesare Mainardi, che aveva il motore grippato, davanti all'ingresso della caserma, mentre i partigiani ci sparavano addosso raffiche di mitragliatrici dal fondo della strada.Passammo al contrattacco, ingaggiando un combattimento relativamente breve.
Durante la notte prendemmo posizione nelle case di periferia, abbandonate dagli abitanti; pioveva a dirotto ed eravamo inzuppati d'acqua: avevamo fame, freddo e sonno ma dovevamo tenere gli occhi aperti. Per fortuna la pioggia non permetteva agli aerei alleati di volare.
Non disponendo più della blindo, ero stato adibito a portaordini e fu in quella notte che vidi morire il Legionario
Alberto Onorati, affettuosamente soprannominato "Pecorino" (forse perché era di Roma), classe 1929 (o 1930?). era stato colpito all'arteria femorale e perdeva sangue copiosamente; fu trasportato all'ospedale militare di Piacenza disteso su un carretto a mano, ma vi giunse cadavere, completamente dissanguato.Correndo come una lepre fra una postazione e l'altra per portare ordini, sentivo le pallottole nemiche fischiare tremendamente vicine, ma per fortuna senza nessuna conseguenza.
Verso le
0800 di mattina riuscimmo con grande soddisfazione a trovare qualcosa da mettere sotto i denti ed era ora, poiché i morsi della fame cominciavano a darci fastidio, nonostante tutte le emozioni che stavamo provando.A giorno avanzato entrarono in città alcuni mezzi esploranti americani, ma vennero subito controbattuti da due nostre autoblindo.
Eravamo sempre appostati nelle case, ma si doveva fare molta attenzione, dato che eravamo sempre sotto tiro e quindi era molto pericoloso affacciarsi alle finestre: si rischiava immediatamente una raffica di mitragliatrice o qualche colpo da parte di cecchini appostati e ben nascosti.
Al pomeriggio l'artiglieria nemica cominciò un fuoco intenso di cannonate di ogni calibro e senza risparmio e verso sera le nostre truppe cominciarono il ripiegamento, utilizzando uno stretto passaggio sul ponte ferroviario del Po, rimasto miracolosamente in piedi e sul quale era possibile transitare uno per volta, non senza qualche acrobazia.
La sera del giorno 27 furono scelti personalmente dal Tenente
Loffredi trenta uomini, cioé un plotone, del quale ebbi l'onore di farne parte, con il preciso compito di contrastare l'avanzata nemica e di proteggere il ritiro delle nostre truppe da Piacenza per tutta la notte. Insieme con noi era rimasto solo un altro plotone misto di tedeschi e di mongoli: nient'altro!Fortunatamente eravamo ben armati ed equipaggiati, con abbondanti munizioni, di cui ci eravamo forniti presso l'arsenale prima che cominciassero i combattimenti. Disponevamo perfino di bombe anticarro Breda con il manico mai viste prima di allora. Mancava purtroppo l'artiglieria, ma ce la cavammo ugualmente.
Furono organizzate delle pattuglie di tre o quattro uomini ciascuna, munite di armi automatiche, con il compito di percorrere la linea del fronte, sparando raffiche di mitragliatrice o fucile mitragliatore ogni cinquanta o cento metri, per far credere al nemico che vi fossero numerose postazioni.
Fu una notte d'inferno, indimenticabile; ad ogni raffica sparata da noi, il nemico, che disponeva di mezzi assai superiori, rispondeva con una reazione sproporzionata: colpi di artiglieria, mortai, mitragliere automatiche e mitragliatrici, senza risparmio, come se avessero avuto di fronte un'intera divisione.
Era una notte nuvolosa e la luna appariva e scompariva a tratti; camminavamo sul ciglio della strada di circonvallazione e la linea avversaria distava da noi circa 150/200 metri. Sentivamo sulle nostre teste anche i fischi dei proiettili dell'artiglieria nemica diretti verso il Po, nell'evidente intenzione di colpire i traghetti.
Ogni tanto la luna ci tradiva illuminandoci e subito arrivavano proiettili tracciati dalle mitragliere e rabbiose raffiche di mitragliatrici; naturalmente ci buttavamo a terra nel fosso scavato lungo la strada e rispondevamo a nostra volta con raffiche di mitragliatore Bren (preda bellica).
A causa della continua tensione, della mancanza di riposo, delle continue fati~che, della fame, avevamo un aspetto poco rassicurante: barbe lunghe, occhi infossati, visi smunti, sporchi di fango. Ci reggevamo in piedi con le sigarette le famose "Ambrosiana" o le "A.O.I.": nonostante il pericolo, si fumava in continuazione per attenuare la tensione nervosa, naturalmente con le dovute precauzioni.
Ci aspettavamo un attacco da un momento all'altro e ovviamente in tal caso avremmo dovuto soccombere, ma a nessuno passò mai per la testa di arrendersi; eravamo ormai rassegnati al nostro destino, qualunque esso fosse stato. Forse proprio a causa della terribile tensione, delle continue emozioni; dello stress e del continuo peicolo, ci aveva preso come un senso di apatia: il pensiero di trovarci faccia a faccia con la morte non ci sgomentava, né ci turbava; non pensavamo più a nulla e tutte le nostr azioni venivano compiute quasi meccanicamente.
Il nostro pensiero fisso era quello di dover resistere a tutti i costi ed il più a lungo possibile: era questo il nostro stato d'animo in quella interminabile notte: la più lunga della mia vita.
Finalmente arrivarono le
04,00 del mattino; ci aggrappammo tutti ai pochi carri ed alle autoblinde ancora disponibili e ci dirigemmo verso il traghetto sul Po, sotto il fuoco dei partigiani che ci sparavano dalle mura della città.Giungemmo senza perdite gravi alla riva del fiume al traghetto di San Rocco al Porto, divenuta un enorme ammasso di carcasse di carri armati, camion, vetture, cannoni e armi di tutte le specie.
Il traghetto funzionava ancora e fummo gli ultimi a traghettare dopodiché lo facemmo saltare, mentre sulla riva opposta già si potevano scorgere i primi carri americani, che cominciarono a cannoneggiarci, ma per fortuna senza conseguenze.
Era il giorno 28 di aprile: cominciava la marcia di ripiegamento agli ordini del Tenente
Loffredi, conducendo con noi alcuni prigionieri americani, catturati a Piacenza: facevano parte di una Divisione corazzata, credo la 36a Texas, poiché avevano sulla spalla come contrassegno il teschio di un bufalo.Attraverso vie secondarie e camminando sempre in mezzo a boschi e risaie, ci dirigemmo verso Guardamiglio.
A metà strada subimmo un'imboscata da parte di partigiani, che ci sparavano da entrambi i lati anche con armi pesanti, tipo mortai da Simm., mitragliere da 2Omm. e cannoncini anticarro da 47mm., tutto materiale abbandonato dalle: truppe tedesche in ritirata, o per meglio dire, in rotta.
Tuttavia dopo un breve ma duro combattimento, riuscimmo a passare.
Giunti a Guardamiglio, costatammo che il paese era in mano ai partigiani, che ci ostacolavano il passo. Anche qui fu inevitabile ingaggiare il combattimento e dopo circa mezz'ora riuscimmo ad entrare in paese.
Mentre facevamo una breve sosta per riprendere flato, fummo improvvisamente attaccati a volo radente da tre cacciabombardieri americani Republic P47 "Thunderbolt", che cominciarono un intenso mitragliamento; evidentemente avevano finito i razzi, di ritorno da una precedente azione, per nostra fortuna fu colpito anche al monoblocco un nostro autocarro Lancia 3 RO, adibito al trasporto feriti.
Volavano bassisimi, approfittando della mancanza di contraerea da parte nostra. Allora reagimmo tutti con rabbia, sparando con tutte le armi di cui disponevamo, ivi comprese mitra e moschetti: fummo fortunati, poiché un aereo, colpito dal tiro incrociato di due fucili mitragliatori, un Breda trenta ed un Bren, si schiantò al suolo, mentre un secondo aereo fu danneggiato dai colpi di una mitragliera da 2Omm., situata in mezzo alla piazza del paese ed azionata da un capitano tedesco, si allontanava lasciando una scia di fumo. Il terzo, vista la mal parata, pensò bene di tagliare la corda.
Agganciammo il 3 RO (unico autocarro rimasto) ad un carro M 14 e abbandonammo immediatamente il paese; infatti appena fuori fummo sorvolati da ben sette caccia americani Republic P 51 "Lighting" che evidentemente avevano l'intenzione di vendicare l'abbattimento del loro compagno. Ci cercarono a lungo, ma questa volta giudicammo più prudente restare rintanati nei fossi e ben nascosti sotto gli alberi fino a quando non si allontanarono definitivamente.
Relazione del Sottotenente Giancarlo Fazioli
I
Dal presidio del Rallio di Rivergaro rientrati a Piacenza, dopo una breve permanenza alla Base, la 3a e la 4a Compagnia hanno lasciato la caserma uno o due giorni prima del ripiegamento oltre il Po. In quei giorni sono stato assegnato, rimanendo separato dal resto della mia Compagnia, còn 2 L/6 semoventi ad un reparto tedesco insieme al quale (25 aprile) con un solo carro ho avuto sulla via Emilia (verso Bologna) uno scontro a fuoco contro mezzi "alleati", che si erano attestati poco fuori Piacenza, per saggiarne la reazione (così diceva un graduato tedesco che con il binocolo ci regolava il tiro).
E’ durato poco, poiché la reazione nemica é stata violenta ed abbiamo fatto rapidamente marcia in dietro in una stada laterale, tornando quindi al punto di presidio in città, ripercorrendo lo stesso intinerario (anche per zone interne piazzali di fabbriche, ecc.) preceduti dallo stesso uomo in borghese che ci aveva guidati all'andata. Il punto di uscita sulla via Emilia, abbastanza fuori Piacenza, era stato scelto per poter agire di sorpresa e quindi scivolare subiti via e sottrarsi alla reazione nemica, come in effetti é avvenuto (mattinata del 25 aprile).
La notte del 25 aprile in cui sono iniziate le operazione di traghetto sul Po località Mortizza, ove sono transitato reparti tedeschi e SS.italiane, ho presidiato con i due L/6 semoventi insieme ad una squadra tedesca il pontile di partenza sino al mattino. Durante la notte ci ha tenuto compagnia il rumore di un intenso cannonneggiamento, non diretto sulla nostra zona. L'ultimo viaggio del traghetto é partito che era già l'alba del 26 aprile il cielo si faceva chiaro, si sentiva rumore di aerei in lontananza, e purtroppo siamo riusciti a caricare sul traghetto solo uno dei due carri, avevamo appena il tempo di disattivare la testa del cannone del carro rimasto a terra saltando sul traghetto quando ormai si era staccato dalla riva. (Gli altri reparti della "Leonessa" hanno traghettato il Po nella località di San Rocco al Porto, anche questa presidiata fino all'alba con gli M 13). Passati sull'altra sponda percorrendo la stada per raggiungere il grosso della colonna, per lasciare il passo ad un automezzo, il carro si é accostato al ciglio della stretta strada flancheggiata da un fosso pieno d'acqua: la strada ha ceduto, il carro si é piegato sul fosso e io che ero seduto sul bordo del carro sono finito in acqua. Con l'aiuto, invero "involontario" di alcuni contadini e di due coppie di buoi siamo riusciti a riportare sulla strada il carro. Ripresa la strada, eravamo ormai rimasti soli, ci é passata sopra una formazione di aerei "alleati" che andavano a mitragliare la colonna, mentre noi ancora un pò distanti ci siamo fermati nascondendo il carro sotto un albero coprendolo con rami e frasche. Finito l'attacco aereo abbiamo rggiunto la colonna, che aveva avuto danni a salmerie ed automezzi.
Notiamo nella colonna alcuni militari americani prigionieri, probabilmente catturati subito prima o durante le operazioni di ripiegamento oltre il Po.
La notte seguente (fra il 26 e il 27 aprile) essendo stato mandato in avanguardia insieme con una auto tedesca con quattro uomini a bordo e un portaordini in bicicletta, siamo stati attaccati dai partigiani muniti di armi automatiche, che hanno colpito la flancata sinistra del carro e ferito il portaordini. Passato l'attimo di sorpresa abbiamo puntato il cannone verso una siepe, ma subito si fanno di lì avanti nel buio alcuni partigiani, che dopo aver parlato per qualche minuto con gli accupanti dell'auto tedesca se ne vanno portando con sé il militare tedesco ferito. La notte seguente (fra il 27 e il 28 aprile) abbiamo pernottato in un paese di cui non ricordo il nome (forse Brembio o li vicino).
Il giorno 28 vengo mandato con il carro in coda alla colonna dietro gli autocarri che trasportavano le SS.Italiane (del battaglione Debica che faceva parte del Kasmpfgruppe Binz). La notte fra il 28 e il 29 c’e’ una sosta; dopo poco la colonna riprende la marcia ma i due ultimi autocarri restano fermi perché uno dei due é in panne: noi restiamo al nostro posto, e così ci si fraziona e non riusciamo più a raggiungere la colonna. Riparato alla meglio l'autocarro si riprese il cammino, ma poco più avanti, é già giorno il 29 aprile l'autocarro si rompe definitivamente.
Solo una parte degli occupanti può prendere posto sul secondo autocarro. La sorte, con il lancio di una moneta, decide chi dei due reparti dovrà rimanere a terra. Restano così appiedati una cinquantina di SS.italiane con un Ufficiale; mentre ripartiamo, siamoinquieti ed angosciati, ci salutano da un campo, disposti in ordine sparso, agitando una mano!. In giornata (il 29 aprile) si passa per Lodi-Vecchio dove rifiutiamo di cedere le armi ai partigiani, proseguendo senza necessità di combattere, dopo una breve sosta durante la quale il Capitano Cantarella che comandava le S.S. italiane era andato a parlare al comando partigiano. L'autocarro di SS. italiane era stracarico di uomini con armi automatiche e un notevole numero di Panzerfaust, che, oltre il nostro semovente, avrebbero potuto sviluppare un notevole volume di fuoco.
Proseguendo la marcia e percorrendo strade secondarie nella mattinata del 30 aprile siamo sbucati sulla strada statale nei pressi di Gorgonzola (lato Milano) ove ci siamo imbattuti subito con una colonna di carri armati USA che ci ha ostacolato il passo. Dall'autocarro che seguiva la prima Jeep scendono militari "alleati" neri che ci raggiungono con le armi spianate; nel frattempo il Capitano delle SS. Cantarella, inforcata una bicicletta si avvicinava alla Jeep per presentare la nostra resa. Intanto si avvicinano dei civili del comando della losa Brigata S.A.P "Luigi Brambilla" di Gorgonzola ai quali siamo stati dati in consegna, ma gli "alleati" ci hanno lasciato le armi, con l'impegno di lasciarci andare liberi muniti di salvacondotto; cosa che é avvenuta nel tardo pomeriggio, dopo aver consegnato tutte le armi e la cassa del Battaglione delle SS. italiane. Con il Legionario Pasquali di San Giovanni in Persiceto (Bologna), ho fatto il viaggio di rientro a Bologna, dove siamo giunti il 3 maggio 1945 dopo essere passati per Milano con peripezie varie.
Ritengo di dover ricordare quest'ultimo episodio che ci ha preoccupati non poco: prima di abbandonare il carro davanti al Comando C.V.L. abbiamo reso inutilizzabilé il cannone togliendo il cilindretto del percussore. Mentre eravamo ancora in attesa del salvacondotto in un cortile interno, sono venuti da me alcuni partigiani molto arrabbiati per non essere riusciti a sparare col cannone, accusandoci di aver manomesso il pezzo: ciò veniva considerato un atto ostile di carattere militare contrario con quanto concordato al momento della resa, per cui avrebbero fucilato tutto l'equipaggio (4) se non avessimo rimesso in funzione il pezzo. Ho così chiamato il capocarro Pasquali, ci siamo guardati in faccia corrucciati perché il cilindro lo avevamo incastrato a colpi di tacco in una fessura sul fondo del carro ed era ormai inutilizzabile. Per fortuna ne abbiamo trovato un altro nella cassetta dei pezzi di ricambio, e dopo aver convenuto che eravamo ormai "fuori tempo" per fare gli eroi, abbiamo rimediato all'imprudenza commessa rimettendo in funzione il cannone; e tutto finì in quel momento: era già il pomeriggio del 30 aprile!
Questo documento é una contestazione fatta allo scrittore Lazzero autore anche del libro sul "SS. DEBICA" sui fatti di Piacenza di fine aprile 1945
Milano 27.11.1992
Egregio Dott.Lazzero,
una tardiva puntualizzazione - spero non fuori tempo massimo - che le devo,
come appartenente al Battaglione "Debica", sul suo libro "Le S.S. Italiane".l'opera anche se lontana dall'interpretare quelle che sono state le motivazioni, gli stati d'animo e il modo di pensare dei Volontari (e come un antico Partigiano avrebbe potuto?), é interessante e ricca di notizie anche se presenta qualche lacuna, ben comprensibile d'altronde, stante l'ampiezza della materia.
Una a pagina 251 riguarda il "Kampfgruppe Binz" e in particolare il "Debica". Il 26 aprile trova l'Unità, dopo che ha abbandonato le posizioni sull'Appennino, schierata qualche chilometro a sud di Piacenza (località Montale), a cavallo della via Emilia: la
1a Compagnia a sinistra, la 2a a destra; arretrata di un centinaio di metri la 3a mortai. Qui la mattina viene attaccata da numerosi carri armati e da fanteria della "34a Infantry Division" della 5a armata. Nel corso del violentissimo combattimento, nonostante l'abissale inferiorità di mezzi (solo un carro M 13 del Gruppo "Leonessa" della G.N.R. appoggia il "Debica") gli americani vengono respinti. E’ qui che cadono il Comandante della 2a Compagnia, Teneùte Giorgio Giorgi e numerosi Legionari da lei ricordati: Simo, Le Buono e Carli, quest'ultimo assassinato poco dopo la cattura. Ed é qui che viene anche catturata una Jeep con un ufficiale e due soldati americani. Solo a sera il "Debica" ripiega su Piacenza.Il giorno dopo, 27 aprile, il Battaglione si riporta sulla via Emilia e nei pressi di San Lazzaro riesce ancora a fermare gli avversari fino al tramonto, quando, dopo aver subito altre perdite si ritira per la seconda volta su Piacenza.
Abbandona la città, l'ultimo reparto del Kampfgruppe, nella notte del 28 (gli Alleati erano già a Brescia!), traghettando il Po, sotto i rari colpi dell'artiglieia nemica, nei pressi di San Stefano Lodigiano. Qui l'episodio della liberazione dei 350 prigionieri e da qui la marcia faticosa verso nord, in parte a piedi, in parte con l'aiuto di qualche mezzo ancora efficente, attraverso strade secondarie e di notte per sfuggire ai mitragliamenti aerei, fino al 30 aprile, quando nei pressi di Gorgonzola, il "Debica" ancora con le sue tre compagnie non disorganizzate fu sorpassato da una lunghissima colonna di camions, carri e cannoni americam: credo che fu proprio la visione per noi sbalorditiva di tanti e di tali mezzi che indusse anche i più decisi a non andare oltre Poi il campo di concentramento, i tribunali il difficile reinserimento dei vinti nell'Italia vittoriosa... ma questa é un altra storia!
Gli scontri sostenuti dal "Debica" a sud di Piacenza sono stati, credo, gli ultimi combattimenti di una certa entità della Campagna d'Italia. Stranamente non sono mai ripornati, forse perché proprio contemporaneamente si svolgevano avvenimenti ben più importanti. Risultano però ricordati da parte Alleata. Nel testo edito dalla stessa
5a armata. "19 days from the Apenines to the Alps-The story of the Po valley campaign" a pagina 56 é ricordato puntualmente che: "by morning of the 28 Piacenza was taken after a bitter flight in which the town changed hands twice".É l'unico riconoscimento di quei giorni
Tanto Le dovevo, non per polemica ingiustificata e ingiustificabile, ma solo per un richiamo ai fatti.
cordialmente

Da Torino a Stambino Romano (25 aprile - 5 maggio 1945)
Le forze armate della R.S.I. presenti a Torino il 25 aprile 1945 erano costituite dalla "Leonessa". (Compagnia Comando, con i servizi del Gruppo,
la Comapagnia, 2a Compagnia), al Comando del Tenente Colonnello Priamo Swich, da due Compagnie RAP (Raggruppamento Anti Partigiano) al comando del Colonnello di S.M. Ruta, da un plotone X Mas, da un Battaglione M, da un Battaglione O.P. della G.N.R., dalla Brigata Nera"A.Capelli".
Fuori della cinta esterna della città erano stati predisposti 22 presidi formati da elementi della G.N.R. e della Brigata Nera "Ather Capelli" con il compito di contrastare l'ingresso dei partigiani a Torino.
L'ultimo importante combattimento prima del 25 aprile 1945 fra forze partigiane e forze della R.S.I. del presidio di Torino ebbe luogo nell'Astigiano (Cisterna d'Asti) il 6, 7, 8 marzo 1945. L'obbiettivo era quello di assicurare le comunicazioni ferroviarie fra Genova e Torino. La colonna della R.S.I. al comando del Maggiore
Cera era composta da un reparto degli Arditi del R.A.P, un reparto della B.N. "A.Capelli", da una Compagnia della G.N.R. da un plotone carri e da un plotone autoblindato della Leonessa - al comando dei Sottotenenti Fossati e Manca.Nei reparti di Torino della R.S.I. erano presenti le ausiliarie le quali ne seguirono, con ammirevole comportamento, le sorti.
Nella città i reparti erano concentrati, sopratutto, nella Caserma di Via Asti (Leonessa e Battaglione O.P.), nella Caserma Cernaia (la
Compagnia della Leonessa al comando del Tenente Tommaso Stabile e una compagnia della Brigata Nera) nella Caserma Podgora (RAP e 2a Compagnia Leonessa quest'ultima al comando del Tenente Nicola Sanfelice).Comandante Regionale delle Forze Armate della R.S.I. il Generale di Corpo d'Armata
Adami Rossi, Capo della Provincia il Prefetto Grazioli, Comandante della Brigata Nera "Ather Capelli" l'Ingegnere Pavia, che aveva sostituito il dottor Giuseppe Solaro il quale aveva assunto l'incarico di Ispettore delle Brigate Nere del Piemonte, Comandante della G.N.R. della Provincia di Torino il Colonnello Paolo Cabras.Scarse le truppe tedesche, il cui comando aveva sede in Via Oporto, le quali seguirono le sorti delle forze della R.S.I. del Presidio di Torino.
L'ufficio politico della G.N.R. era venuto a conoscenza fin dal 20 aprile che il piano del C.L.N. prevedeva la insurrezione per il 25 aprile ad opera dei G.A.P. di città rinforzati da nuclei partigiani che clandestinamente si erano infiltrati in città. La insurrezione doveva essere appoggiata da un forte contingente partigiano dislocato a pochi chilometri da Torino al comando di
Napoleone Colaianni (Barbato). Questo forte contingente partigiano avrebbe dovuto entrare in Torino appena dichiarata l'insurrezione.Il piano operativo del C.L.N. prevedeva inoltre la fucilazione senza processo degli appartenenti alla G.N.R. e alla Brigata Nera, senza alcuna distinzione di grado.
Nel quadro del dispositivo di sicurezza i reparti della Leonessa assolsero i seguenti compiti:
in via Asti (ove aveva sede anche il Commando provinciale della G.N.R.) la Leonessa unitamente a due compagnie, O.P. della G.N.R. doveva contrastare l'ingresso in città dei reparti partigiani che si erano attestati sulle colline prospicenti la Caserma che aveva assunto le caratteristiche di un fortilizio.
I collegamenti via radio fra la Caserma di via Asti ove aveva sede anche il Comando provinciale della G.N.R. e gli altri reparti dislocati in città erano assicurati dal Centro Collegamento Radio della Leonessa, egregiamente diretto, in quei giorni, dal Tenente Lena ufficiale addetto del Comandante Swich.
I
Il Comandante Swich per prevenire un eventuale attacco partigiano dal ponte sul Pò che immette sul piazzale della Chiesa Gran Madre di Dio e quindi a via Asti aveva disposta la installazione di un carro armato M 14 armato con un cannone da 47/32 e da due mitragliatrici Breda 38 affidandone il comando al Brigadiere Mazzoleni Leonardo. Nello stesso tempo il Comandante Swich fece presidiare Piazza Castello, ove aveva sede la Prefettura, da un reparto formato da due carri armati M 13, da una autoblindo e da una quindicina di legionari dotati di mitragliatrici Breda 38.
Le altre due Compagnie (la prima al comando del Tenente Stabile e la seconda al comando del Tenente Sanfelice) avevano il compito di proteggere, unitamente agli altri reparti della R.S.I., gli edifici pubblici e di contrastare l'azione dei partigiani che, si sapeva; erand già fortemente presenti in Torino per iniziare l'insurrezione.
Torino é stata l'unica città del nord ove il 25 aprile e i giorni seguenti non ebbe luogo l'insurrezione. Le truppe angloamericane entrarono in città il 1° maggio 1945. Ciò fu dovuto oltre che alla compattezza e alla decisione dei reparti, sopratutto a coloro che ne avevano il comando (da Adami Rossi, a Cabras, a Ruta, a Swieh, a Solaro).
L'azione partigiana ebbe inizio il 25 aprile 1945.
La città, sotto un cielo plumbeo, era deserta. La popolazione asserragliata nelle case, porte e portoni chiusi, persiane abbassate. Gli uffici chiusi. Una città avvolta da un silenzio tombale rotto dal rombo dei carri e dalle autoblindo che correvano veloci lungo le larghe strade, dal boato dei cannoni da 47/32, dal ritmo veloce degli spari delle mitragliere da 20/mm delle autoblindo, dai colpi di fucileria.
Pur essendo stati bloccati gli attacchi partigiani provenienti dalle colline dai reparti di via Asti, i partigiani registrarono nella mattinata del 25 aprile, alcuni successi. Nel centro della Città infatti occuparono il Municipio, le stazioni ferroviarie di Porta Nuova e di Porta Susa, la sede della "Gazzetta del Popolo", gli stabilimenti "Nebiolo", "Fiat", e "Ferriere Piemontesi". Un tentativo di occupare la Prefettura fu neutralizzato con decisione dal Tenente Nello Govoni e così pure un tentativo di occupazione della sede dell'Eiar e della centrale telefonica venne neutralizzato da un carro armato e due autoblinde della prima compagnia della Leonessa.
La reazione fu decisa. Vennero rioccupate le due stazioni ferroviarie, il Municipio, la sede della Gazzetta del Popolo, gli stabilimenti "Nebiolo", "Ferriere Piemontesi".
Nelle azioni vennero impiegati i reparti della G.N.R., i reparti della Brigata Nera e del RAP appoggiati dai mezzi blindati e corazzati della prima e della seconda compagnia della "Leonessa". la Fiat venne rioccupata da un reparto comandato peronalmente dal Colonnello Cabras appoggiato dai carri armati ed autoblindo della Leonessa. In mano ai partigiani rimasero alcuni settori degli stabilimenti Fiat.
Il 25 aprile ed il 26 si combatté con decisione da entrambe le parti. La sera del 26 la città era saldamente nelle mani dei Reparti della R.S.J.. Nella mattinata del 27 aprile si registrò una ripresa di combattimenti in via Arsenale, in via Madama Cristina, alla stazione di Porta Nuova. Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, grazie a complicità interne, reparti partigiani occoparono la Questura che dopo un breve e furioso combattimento, al quale parteciparono un plotone della Brigata Nera, e mezzi corazzati e blindati e il reparto arditi della la Compagnia della Leonessa, venne riconquistata. Radio Gavetta incominciava a trasmettere che Torino sarebbe diventata un'altra Stalingrado. Di ciò era preoccupato l'Arcivescovo di Torino in quale tentò di fare accettare una tregua fra le parti. Inutilmente, poiché la situazione er4 particolarmente tesa e soprattutto perche i reparti della R.S.J. non intendevano arrendersi al Comitato Nazionale di Liberazione (C.L.N.).
Pur fallite le trattative il Comando Militare della R.S.I. di Torino, grazie all'interessa-mento dell'Arcivescovo Fossati, ottenne l'impegno da parte del C.L.N. che non venissero fucilati i militari della R.S.I. ricoverati negli ospedali cittadini. Tale impegno non venne
purtroppo interamente rispettato e molti militari della R.S.I. vennero fucilati o percossi dai partigiani. Non meno di cinquemila fùrono i fascisti (ed anche presunti tali), le ausiliarie e gli appartenenti alle FF.AA. della R.S.I., uccisi fra il 25 aprile ed il 10 maggio 1945, nella città di Torino.
La presenza dei mezzi blindati e corazzati della Leonessa, la decisa reazione dei reparti della R.S.I. furono certamente le cause che determinarono il ritardo dell'ingresso a Torino del forte contingente partigiano che al comando di "Barbato" era a pochi chilometri dalla città. Nel pomeriggio del 27 aprile mentre erano ancora in corso i combattimenti alla sede della Prefettura presidiata da due carri della Leonessa, aveva luogo una riunione, presenti il Generale Adami Rossi, il Capo della Provincia Grazioli, il Colonnello Ruta, il Colonnello Cabras, il Tenente Colonnello Swieh, il dottor Solaro. In quella riunione il Colonello Cabras fece presente che essendo venuto a mancare i collegamenti con le Autorità Centrali della R.S.I. bisognava dare esecuzione al Piano Esigenza Z.2 - B -Improvviso e cioé ripiegare verso la Lombardia. Furono tutti concordi. Il dottor Solaro fece presente che egli rimaneva a Torino al Comando di fascisti franchi tiratori già prescelti. Nonostante le affettuose sollecitazioni degli altri Solaro restò a Torino, contrastò con i suoi franchi tiratori le forze partigiane e pagò con la vita il suo generoso gesto. La formazione ed il comando della Colonna venne affidata al Colonnello Cabras, la protezione della medesima alla "Leonessa", al comando del Tenente Colonnello Swich. Il capo della Provincia Grazioli seguì le sorti della colonna.
Punto di concentramento dei Reparti della R.S.I.: Piazza Castello ove affluirono ordinatamente nonostante il fuoco dei franchi tiratori partigiani.
La sera del 27 aprile operavano a Torino franchi tiratori fascisti (al comando del dottor Solaro) e franchi tiratori partigiani. A Piazza Castello affluirono nella tarda serata del 27 aprile anche i reparti della R.S.I. dei presidi della cintura esterna di Torino, i quali durante il ripiegamento sostennero scontri a fuoco con i partigiani.
L'ammassamento dei reparti della R.S.I. in Piazza Castello era completato alle ore 2200 del 27 aprile. Venne formata la Colonna (almeno cinquemila uomini) ed alle ore 0140 del 28 aprile ebbe inizio la partenza. Lungo il percorso fra Piazza Castello e l'imbocco dell'autostrada Torino - Milano la marcia della Colonna venne contrastata dal fuoco di armi leggere e pesanti dei reparti partigiani, fuoco al quale si rispose soprattutto con i cannoni dei carri e con le mitragliere da 20/mm delle autoblindo della Leonessa. All'alba del 28 aprile la Colonna raggiunse Chivasso, abbandonata l'autostrada, ove si era più esposti ai bombardamenti, la Colonna si diresse, attraverso le strade secondarie, a Livorno Ferraris, ove arrivò verso mezzogiorno. Nella tarda serata del 28 aprile 1945 giunse la notizia della fucilazione del Duce. La costernazione ed il dolore furono profondi. Il 29 la colonna si diresse a Cigliano ove si appostò. A Cigliano subì un bombardamento aereo da parte degli inglesi.
I comandanti militari e politici della Colonna decisero, non essendovi più il governo della R.S.I., di acquartierare, in attesa di eventi, i reparti che la formarono a Strambino Romano.
Qui venne delimitata una zona franca la quale comprendeva Strambino Romano ed altri piccoli centri limitrofi.
La zona franca era protetta da posti di blocco e da pattuglie mobili contro eventuali attacchi partigiani che dal 30 aprile al 05 maggio 1945 nella zona non si registratono. Intanto altri reparti in ripiegamento dal Piemonte e dalle Alpi occidentali affluirono a Strambino: reparti delle Brigate Nere di Aosta, Asti, Vercelli, un Battaglione Paracadutisti al comando del Capitano Faedda del Reggimento Paracadutisti Folgore (Comandante Maggiore Sala), un Battaglione S.S. italiane.
Con lo stesso ordine e decisione che caratterizzarono il ripiegamento delle FF.AA. della R.S.I. di Torino avvenne il ripiegamento della Colonna Bassani da Cuneo la quale, al
comando appunto del Colonnello Enrico Bassani, era composta dai seguenti reparti:
Comando Provinciale dell'Esercito, Reparti della G.N.R., Brigata Nera "Lidomici", della Compagnia della Divisione "Littorio", una Compagnia Alpini della Divisione "Monterosa", da Reparti di Ausiliarie e impiegati civili (con le famiglie) che avevano aderito alle R.S.I.
Questa colonna a mezzogiorno del 28 aprile 1945 si congiunse a Moncalieri, con la colonna del Colonnello Aurelio Languasco (Cacciatori degli Appennini). Le Colonne Bassani e Languasco forti ormai di oltre tremila uopmini proseguirono per Rivoli quindi per Torino che attraversarono il 30 aprile senza alcuna reazione dei partigiani.
Il 30 aprile Torino non era ancora interamente in mano alle formazioni partigiane fortemente contrastate dai franchi tiratori fascisti di Solaro. Anche truppe germaniche dell'Armata Liguria attraversarono Torino senza essere contrastate dai partigiani.
Il 2 maggio le colonne Bassani e Languasco raggiunsero la zona di Ivrea. Qui vennero informati dal Generale germanico Lieb (Comandante della 34a Divisione germanica) che a Strambino Romano era stata costituita una zona franca della R.S.I.
Il 3 maggio 1945 i reparti al comando di Bassani e di Languasco si attestarono nella zona franca di Strambino Romano. Circa quindicimila combattenti della R.S.I. e molti impiegati civili (con le loro famiglie) che avevano aderito alla R.S.I. erano presenti nella zona franca.
Nello stesso comprensorio di Strambino Romano oltre la zonaa franca dei combattenti della R.S.I. si costituì un'altra zona franca ove affluirono una parte delle truppe germaniche dell'Armata Liguria.
La zona franca (ultimo territorio della R.S.I.) durò dal 30 aprile al 5 maggio 1945. Fra il 3 e il 4 maaggio 1945 il Generale Adami Rossi Comandante Militare della zona franca, prese contatto con il Comandante della 34a Divisione Americana "Bisonte" con il quale trattò la resa che venne firmata alle ore 1700 del 5 maggio 1945.
Ai reparti della R.S.I. venne concesso l'onore delle Armi.
Da Strambino Romano i reparti vennero trasferiti, in prigionia di guerra, prima a Ivrea, poi a Parabiago ed in fine a Coltano.
Quel pomeriggio del 5 maggio 1945 si concludevano con l'onore delle armi, le vicende della Leonessa iniziate dieci anni prima in Africa Orientale e continuate in Albania, in Russia e nella Repubblica Sociale Italiana.
Durante il trasferimento dei reparti, ormai prigionieri di guerra, fra Ivrea e Parabiago avvenne l'incontro tra i paracadutisti della Folgore militanti della R.S.I. e i paracadutisti della Folgore militanti nell'Esercito del Regno del Sud. Molti di loro si conoscevano. Si chiamavano per nome. Avevano combattuto insieme ad Al Alamein.
Per salutarsi gridavano insieme: Folgore - Italia.
I paracadutisti del Sud resero omaggio anche agli altri repafti della R.S.I. e questi a loro e gli uni agli altri gridavano fofte e con disperazione: Italia.
Fu un incontro doloroso e commovente, un incontro fra soldati che avevano iniziato una guerra uniti per vincerla e non per perderla e che a causa di eventi, da essi non determinati e tanto meno auspicati, si trovavano divisi. Ma uniti in un grido disperato lanciato al cielo: Italia.
Al Comandante del Distaccamento, Tenente Giovanni Ferraris, nella tarda sera del 25 aprile 1945, pervenne l'ordine di ripiegare su Como.
Dagli appunti del Sottotenente
Romano Oreste: inizia "La formazione della Colonna con il carico di tutto ciò che é essenziale (armamento, viveri, casermaggio).Frà i nostri legionari vi erano otto bergamaschi. Il Comandante Ferraris disse loro che erano liberi e potevano restare a Bergamo. Essi chiesero solo di salutare le famiglie e di voler seguire le sorti del Reparto. Ed infatti salutate le famiglie partirono con noi. La partenza avvenne nella tarda serata del 26 aprile 1945".
La colonna si divise in due: quella più veloce comandata dal Tenente Ferraris e con gli Ufficiali Tenente
Franco Ferrari ed i Sottotenenti Giorgio Carchini e Bruno Satta con lo scopo di raggiungere Lecco e quindi Como e quella meno veloce il cui comando venne affidato al Sottotenente Romano Oreste coaduvato dal Sottotenente Borgatti Elvezio.Prima di Lecco la colonna Ferraris raggiunse il Battaglione Perugia formando così una unica colonna.
La colonna del Sottotenente
Romano formata da mezzi pesanti, non poté transitare il ponte perché lesi6nato alla seconda arcata da una bomba di aereo.La mattina del 27 aprile, nell'impossibilità di transitare il ponte sull'Adda, la Colonna (Romano-Borgatti) era in sosta edappostata fra Cisano Bergamasco e Brivio. Brivio era in mano ai partigiani comunisti e Cisano Bergamasco in mano ai partigiani verdi (cattolici) fra i quali erano presenti ufficiali dell'Esercito e della Guardia di Finanza. Provenienti da Brivio si presentarono al Sottotenente
Romano, con bandiera bianca, partigiani comunisti per parlamentare.Ci fu uno scambio di ostaggi per la trattativa.
La trattativa con i partigiani comunisti condotta dal Sottotenente
Romano non raggiunse alcun risultato poiché i partigiani comunisti chiedevano la resa senza cbndizioni del Reparto.Intanto da Cisano Bergamasco, lontano dal ponte un paio di chilometri, i partigiani "verdi" visto che il reparto della Leonessa dopo la fallita trattativa con i partigiani comunisti, aveva rinforzato il dispositivo di difesa inviarono alcuni parlamentari. Racconta il sottotenente
Oreste Romano: "Alcuni erano in divisa militare: un Ufficiale di Marina, un Maresciallo della Guardia di Finanza, ed il Maggiore Facchini della Guardia di Frontiera. Portavano il fazzoletto verde al collo.Altri erano in borghese con bracciali tricolori. Il capo del C.L.N. di Cisano Bergamasco era il farmacista del quale non rammento il nome. Ci venne concessa la resa con l'onore delle armi ed in attesa di essere consegnati, quale reparto combattente, agli americani fummo messi nell'interno del teatro dell'asilo infantile.
Il reparto in colonna con i parlamentari suddetti si diresse verso Cisano Bergamasco. La Colonna era protetta a breve distanza da una pattuglia di legionari al comando del Sottotenente
Elvezio Borgatti, la quale raggiunta da un reparto motorizzato americano venne disarmata. Gli americani proseguirono senza far prigionieri il SottotenenteBorgatti ed i suoi uomini.
Disarmati e isolati ed a distanza non più ravvicinata dal grosso della Colonna, vennero assaliti dai partigiani che erano nella zona. Vennero percossi e trasferiti nelle carceri di Bergamo.
Il Sottotenente Borgatti così ricorda gli avvenimenti dell'ultima settimana del mese di aprile 1945:
Relazione del Sottotenente Borgatti Aprile 1945
Comandante: Cap.Giovanni Bodda - successivaniente Tenente Loffredo Loffredi.
Reparti distaccati: a Montechino - Rallio e Montichiaro di Rivergaro - Bussetto - Velleia.
Presidio di Montechino: Arditi e motociclisti esploratori. Si alternano vari ufficiali fra i quali il Tenente Loffredi, Tenente Giorgio Savoia, Tenente Franco Ferrari, Sottotenente Benedetto Contardi, Sottotenete Romolo Paroletti, Sottotenete Benito Nepomuceno, Sottotenente Elvezio Borgatti.
Nei primi giorni del mese si verificano frequenti azioni notturne di disturbo con brevi scaramucce: di giorno saltuarie puntate nei boschi circostanti il castello con direttrice su Morfasso e dintorni, con appoggio di reparti distaccati dalla
29a Divisione SS.Italiana "Debica" inviata di rinforzo, da qualche tempo nella zona. Dal 12 aprile si svolgono ripetute incursioni aeree, sempre più accentuate, con spezzonamento e mitragliamento in appoggio a formazioni partigiane, si presume provenienti dalla zona di Morfasso.Passo del San Michele - Bardi.
Tra il 18 ed il 20 aprile tutti i nuclei distaccati ricevono l'ordine di rientrare a Piacenza. Il Gruppo di Montechino, al comando del Tenente
Ferrari coadiuvato dal sottoscritto, nella notte del 21, dopo varie peripezie, traghetta il Po a San Rocco al Porto con l'ordine di dirigersi su Bergamo, sede della batteria 75/27 comandata dal tenente Giovanni Ferraris coadiuvato dal Sottotennte Oreste Romano e dal Sottotenente Bruno Satta. Dal Comando del Gruppo di Torino si attendono ordini che succesivamente vengono impartiti dal Comando Provinciale G.N.R. di Bergamo.Mercoledì 25 aprile perviene l'ordine di confluire su Como: pertanto hanno luogo i preparativi per la partenza da Bergamo fissata al giorno successivo. Nella niattinata arriva da Brescia, con due autoblindo, il Sottotenente Tommaso Morganti: successivamente arriva dalla Val Sesia il Sottotenente Giorgio Carchini, con un carro L 3 unitamente ad una colonna tedesca che aveva lasciato la periferia della città. Si procede alla formazione della colonna con il carico essenziale (carburante, munizioni, viveri, casermaggio). Nel pomeriggio si odono sparatorie in città. Escono due autoblindo per controllare la situazione: sembra che scontri fra elementi isolati siano avvenuti tra la Stazione ferroviaria e la piazza della Prefettura.La formazione non viene disturbata ma al pomeriggio é costretta a bruciare una blindo per la rottura, sembra, del semiasse della ruota posteriore destra.
La sera la partenza (26 aprile).
La città viene attraversata prendendo tutte le precauzioni necessarie per la protezione dei carichi di munizioni.
La colonna marcia a rilento e di conseguenza si divide in due: quella comandata dal Tenente Giovanni Ferraris e con gli Ufficiali Tenente Franco Ferrari e Sottotenente Bruno Satta e Giorgio Carchini procede più celermente con lo scopo di raggiungere Como nella notte e quella meno veloce il cui comando é affidato al Sottotente Oreste Romano coadiuvato dal Sottotene'ite Borgatti Elvezio e per un breve tratto protetta dalla blindo del Sottotenente Tommaso Morganti. Il Comandante Ferraris che guida la prima parte della colonna a Cisano Bergamasco, per il ponte sull' Adda di Brivio lesionato,devia per Lecco raggiungendo prima di questa località il nucleo principale del Battaglione "Perugia", in movimento da Brescia per Como via Lecco. Così il reparto, costituito da quattro trattori SPA, due cannoni 75/27, due carrelli porta munizioni e vari altri automezzi,non tutti efficienti perché sovraccarichi, riprende lentamente la marcia col sottoscritto in testa ed il Sottotenente Romano in coda mentre il Sottotenente Morganti, che ha esaurito il suo compito,riparte per raggiungere il primo gruppo della colonna. La marcia notturna sotto la pioggia,talvolta battente, é lenta e faticosa;le eccessive fermate e la foschia causano ulteriori frazionamenti. Così, nella zona dopo Pontida, il sottoscritto si ritrova solo con l'autista, legionario Galimberti. Proseguendo lentamente e ad un certo punto troviamo un autocarro militàre in avaria,fermo ai margini della strada. C'é il Tenente Luccioli con 15 militari ed una ausiliaria del Battaglione Perugia.
E' l'alba del 27 aprile (venerdì). Considerata la posizione in cui il reparto si é fermato, appare opportuno proseguire sino ad un paesino in collina. L'autocarro del Battaglione Perugia viene rimorchiato ma per l'eccessiva salita anche il mezzo trainante si blocca. Senza saperlo ci troviamo fra Caprino Bergamasco e Cisano Bergamasco. Viene predisposta una difesa in attesa che arrivi il Sottotenente Romano. Nel frattempo viene fermato un carro agricolo per controllo: sotto un tendone disteso nel mezzo, con grande sorpresa, troviamo distesi diversi cadaveri di civli. Per istinto il sottoscritto fa un segno di croce e senza parola fa proseguire il mesto carico. Tempo dopo arriva il Sottotente Romano ed insieme si prosegue verso Brivio. Ennesima sosta per il ponte sull'Adda, lesionato,che presenta un foro, all'altezza della prima arcata, provocato da bomba di aereo. Aumentano le preoccupazioni: non sappiamo se coi mezzi al traino (pesanti) riusciremo a superare l'inconveniente. Sulla sponda opposta si notano movimenti di persone e, per precauzione si distanziano i carri sulla provinciale, pronti a respingere malintenzionati. Sono circa le otto del mattino. Dalla campagna,senza alcun dispositivo o bandiera bianca, sbucano due individui in divisa da bersagliere: sono un Tenente ed un Sergente maggiore con stellette. Avanzano diritti verso la testa della colonna, protetto dai Legionari: vado loro incontro. Vogliono la resa del reparto. Senza mezzi termini rispondo: " eventualmente si tratta solo con reparti regolari, non facciamo male a nessuno ma attaccati rispondiamo con tutte le armi disponibili". Spariscono subito, senza farsi più rivedere. Poco dopo, sulla provinciale lentamente avanza un'Alfa 2600 nera. Riconosciamo subito l'Eccellenza Farinacci, in compagnia della Marchesa Zeno Medici del Vascello. Si ferma, s'interessa délla nostra formazione e soggiunge: " nella notte il Duce col suo seguito é partito per la Valtellina: a Como trattano la resa di tutti i reparti pervenuti. Visto che siete tutti così giovani il vostro compito è ora quello di fare il possibile perché tutti raggiungano le rispettive famiglie. Potreste essere utili in un prossimo futuro
Con varie argomentazioni cerchiamo di fermarlo ma aggiunge: " la mia presenza potrebbe essere di ostacolo per tutti voi: proseguo e vado incontro al mio destino, qualunque esso sia.
Prima di partire chiede anche se abbiamo incontrato una seconda macchina col Segretario Dottor Mangani e l'autista milite Martinenghi con documenti e valigie personali.
A questo punto riparte verso Brivio. Attraversato il paese nella frazione di Beverate una scarica di Sten uccide l'autista, Maresciallo Campoccia, della XVII Legione CC. NN. di Cremona,ferisce mortalmente la Marchesa Zeno Medici del Vascello, mentre incolume resta Farinacci.
Sebbene gravemente ferita la Marchesa é fatta oggetto di scherno,sputi e qualche calcio, mentre era distesa in terra,da parte delle brave donnette del posto. Farinacci viene portato da un partigiano ( dell'ultima ora ), certo Mafaldo in una Villa di Airuno, subisce il sequestro del passaporto e dei valori. Successivamente viene trasferito prima a Merate nella villa dei Conti Prinetti e poi a Vimercate ove viene fucilato il 28 aprile. La Marchesa Zeno, trasportata nell'ospedale civile di Merate, morirà, dopo lunga degenza il 15 maggio 1945.
Nella zona si aggira tra i partigiani anche un prete ma l'anonimo informatore non mi ha voluto dire il comportamento avuto dal presule ( che però si immagina).
Tornando al reparto, dopo il breve colloquio con Sua Eccellenza Farinacci, il Brigadiere Giuseppe Berini chiede il permesso di allontanarsi dal reparto col figlio Arnaldo per rientrare in famiglia. Purtroppo non la raggiungerà; i due Legionari,fermati in quel di S.Eufemia ( Brescia ), vengono fucilati il 5 maggio, unitamente ad altri militari della R.S.I.. Verso le ore 11 del mattino transita una lunga colonna proveniente dal Veneto con i più disparati mezzi e con autobus colmi di civili al seguito. Sono i resti della Divisione " Etna "in ripiegamento,con la nota destinazione. Il sottoscritto incontra numerosi Ufficiali, alcuni compagni di corso delle scuole A.U..
Al Generale comandante ( Bocchio ) riferiamo la situazione creatasi nel Comasco e l'incontro del mattino con Sua Eccellenza Farinacci, ma imperturbabile prosegue la sua marcia, tuttavia ancora per pochi chilometri.
Verso mezzodì,con bandiera bianca,si presentano partigiani comunisti provenienti da Brivio per parlamentare. C'é scambio di ostaggi,vogliono un Ufficiale contro due di loro. Il sottoscritto si offre spontaneamente perché ritiene giusto che con la Batteria resti il Sottotenente Romano. La trattativa succesiva é negativa perché viene richiesta la resa senza condizioni. Di conseguenza si fanno avanti quelli del CLN di Cisano, che raggiungono un accordo di massima poiché il Sottotenente Romano deve risolvere prima il problema dell'ostaggio ancora nelle mani dei partigiani di Brivio. Questi esitano nel rilasciare il sottoscritto,ma Romano riesce nell'intento con le minacce e la forza delle armi in dotazione. Per inciso, la sede della brigata garibaldina ( dell'ultima ora ) é situata nella Canonica ove avviene lo scambio degli ostaggi.
E’ sera, si torna al reparto, si effettua inversione di marcia dirigendoci verso il centro di Cisano Bergamasco. Il grosso della colonna, abbandonando la provinciale, entra in paese mentre gli ultimi due o tre automezzi vengono tagliati fuori dal grosso per l'improvviso arrivo di una colonna corazzata americana.
Veniamo assaliti dai civili,sul mio carro vi sono gli approvvigionamenti. Riappare l'omino ( quello del primo mattino col carro agricolo ed i suoi morti ); breve collutazione sul cassone e ne volano un paio di aggressori. Inebetito Galimberti resta al suo posto di guida. Vocianti arrivano altre persone e faccio in tempo a prendere dei documenti del reparto ed il mio diario personale, raggiungo una casa col portone aperto, per le scale nessuno mi segue: un signore mi dà ospitalità. In anticamera c e una stufetta a carbone: distruggo i documenti. Mi viene offerta una bevanda calda e considerato lo stato della divisa,umida e strappata in più parti, l'ospite mi offre un paio dei suoi pantaloni ed una camicia. Intanto in strada sono atteso... .e, per non aggravare l'imbarazzante situazione creatasi per questa famigliola esco in strada. Subito preso, vengo trascinato in una villetta, sede di qualche comando partigiano. Tutti vociano e mi percuotono - le donne si distinguono in modo particolare - gli epiteti si sprecano. Insomma si sono trasformati tutti in tante belve.. mentre i neri americani, indifferenti, si godono lo spettacolo.
In quei tragici momenti, mi sovvengono le prime parole di una poesia, "Guerra Civile", tradotta dal francese ed a suo tempo studiata: " Morte,Morte, ululavano.. la folla era tremenda, un uomo solo avanzava tra la marea di quelle grida...".
Nella villetta mi fanno accomodare, si fa per dire, in un'anticamera. Su delle comode poltrone prendono posto tre o quattro vecchi etti con in mano dei fiaséhetti di vino, mentre io in ginocchio appoggio le braccia su di un basso tavolinetto; in questa posizione trascorro tutta la notte, ad ogni minimo cenno di stanchezza mi arrivano legnate e chiunque entra, vedendomi in quella posizione, é autorizzato a sferrare calci. Lunghe furono quelle ore notturne. La pioggia scrosciante m'intristiva maggiormente e non vedevo l'ora che giungesse il mattino perché tra me e me pensavo che l'avrebbero fatta finita.
28 aprile, sabato. Al mattino intravedo Romano, sussurro qualche parola ma lui viene allontanato e sospinto in un ufficio. Solo in questo momento capisco di trovarmi in una Caserma della Finanza e pensare che il giorno avanti non avevamo notato alcuna targa indicatrice. Finalmente verso mezzogiorno mi tolgono da quella incomoda posizione e mi richiudono in una cella di sicurezza ove resto sino al giorno dopo. A tarda sera un giovane finanziere mi porge qualcosa da mangiare assicurandomi che nella notte se volevo" scappare "mi avrebbe aiutato;mi dice che é un mio compaesano e precisamente di Roccasecca ( frosinone ). Rimugino sulle probabilità di riuscita, sulle conseguenze che poteva avere il finanziere e sulle mie condizioni di resistenza; non ne faccio nulla.
29 aprile, domenica. All'alba c'é il sole;mi vengono a prendere e dico" era ora" . Mi portano in una piazzetta ove avevano ammassati i nostri automezzi:sono carichi solo quelli con le munizioni e con gioia indicibile vedo alcuni nostri ragazzi e gli autisti. Un borghese, dall'apparenza distinta , con modo rude e bruscamente, dice che le munizioni vanno trasportate fuori del paese e minaccia rappresaglie se qualcuno di noi compie un gesto inconsulto. (Questo tizio dev'essere il farmacista del paese che unitamente ad un maggiore delle Fiamme verdi si dimostra il più accanito nei miei confronti,forse per gli antefatti del mattino, con le dichiarazioni fatte ) . Sistemato il carico su tre camion prendiamo la strada per Caprino Bergamasco,che attraversiamo a mala pena a causa di un budello di strada acciotolata che ci crea più di un problema,poscia su di una strada sterrata che s'inerpica su di una valle ( Imagna-Valcava? ). .Dopo più di un'ora sostiamo davanti a delle grotte naturali e scarichiamo tutte le munizioni. Assolto il compito mentre ritorno ospite nella cella dei finanzieri,gli altri Legionari, coi quali sono riuscito a scambiare qualche parola,vengono riportati ospiti dell'asilo infantile di Cisano, ove sono ammassati tutti i prigionieri. La sera mi aspetta una brodaglia che non riesco a mandar giù: però il " paesano" pensa lui a passarmi qualcosa.
30 aprile, lunedì. Sveglia al mattino presto: dopo varie formalità mi ritrovo nella piazzetta del mattino precedente. Mi aspettano vari uomini armati,salgo su un camion ove trovo un civile prelevato nella notte,brevi occhiate di saluto,non si parla. Si parte senza sapere la destinazione, si attraversano borgate varie per entrare infine in Bergamo: giro turistico della città, sempre accolti da gente vociante che lanciano sputi ed altro. Successivamente si prende la strada per Bergamo Alta, durante l'ascesa da un giardinetto tre giovinette ci gridano "...coraggio...! ",sono le uniche parole di conforto che raccolgo a Bergamo, città considerata l'anticamera del Vaticano. Meta definitiva il carcere di 5. Agata. In un vasto salone davanti all'accettazione vedo altre persone completamente nude come vermi che subiscono controlli da parte dei carcerieri, stessa sorte tocca a noi due e dopo il rituale, l'assegnazione della cella. Veniamo divisi ed il mio compagno di viaggio non l'ho più riveduto. Seppi dopo che trattavasi del Prefetto di Ferrara (dr. Altini ) riparato in quegli ultimi momenti nella zona di Cisano. Questa conferma l'ho avuta solo dopo 43 anni. Intanto la prima parte della colonna comandata dai Tenenti Ferraris e Ferrari, che ci aveva lasciati alle porte di Bergamo,prosegue la sua marcia verso Como raggiungendo parte della colonna del Btg. "Perugia" della GNR,partita dal bresciano con l'ordine di raggiungere Como passando per Lecco ove era attesa da altri reparti della Guardia e dalle BB.NN. colà dislocati. Ma la situazione si evolve ed i reparti di Lecco al mattino del 26 aprile sono costretti ad abbandonare la città ( i tedeschi sono in tregua d'armi e non prestano aiuti di sorta ai reparti italiani in difficoltà) . Così, quando le colonne Leonessa-Perugia arrivano a notte inoltrata,vengono attaccate e bloccate a Pescarenico da folti grup-pi di partigiani attestati da tempo in zona. Nel primo impatto il Tenente Ferrari, in testa alla colonnà ,viene ferito. Al mattino il Sottotenente Carchini con il suo carro L 3 lo porta a Calolziocorte con l'intento di ricoverare il ferito all'ospedale. Nel breve tragitto un carro armato M 14 con le insegne della " Leonessa " gli sbarra la strada. Il Sottotenente Carchini come vede brandeggiare il cannone riesce con una manovra a sottrarsi all'eventuale offesa, raggiungendo la località senza altri incidenti. Dopo le medicazioni del caso i due ufficiali vengono trattenuti presso un istituto clinico ove un medico giornalmente si reca per prestare ulteriori cure. Solo dopo alcuni giorni, quando per loro la situazione non é più sostenibile, si presentano al locale comando del CLN che li trasferisce a Lecco presso le scuole di via Ghislanzoni, trasformato in carcere provvisorio e dove sono già confluiti tutti i Legionari della Leonessa e del Perugia. Ma per i fatti di Lecco lascio la parola ai Legionari Lombardi e Mandelli.
PS.
Il Colonnello Pier Amedeo Baldrati mi ha ripetutamente chiesto notizie circa l'abbandono di un nostro carro armato M 14. Non mi rendevo conto da chi fosse stato abbandonato anche perché non apparteneva al nostro gruppo di Bergamo in movimento verso Como. Tutte le congetture sono state fatte ma solo nell'ultimo raduno dei reduci della Leonessa" alla Piccola Caprera di Ponti sul Mincio del 3 settembre 1989 é saltata fuori la verità.
Infatti il carro armato fu" sottratto" ( é il termine esatto ) nella prima decade di aprile 945 con uno stratagemma al Reparto " Leonessa " di via V.Monti a Milano dal Generale Ricci con la scusante che i gi6vani dell'ONB dovevano prendere confidenza col carro. Ma i giovani non si videro e solo il figlio del Generale prendeva lezioni di guida dal carrista Legionario Michele Ruocco figlio del nostro Vice Comandante,Maggiore Euro Ruocco. Il Tenente Giulio Morandi cercò in tutti i modi di ottenere la restituzione del mezzo ed il rientro in sede del Legionario; ebbe anche un'animata discussione con il Generale Ricci ma non ci fu verso di farlo recedere. Intanto la situazione precipitava.
La sera del 25aprile il Generale Ricci,di ritorno dalla Prefettura di Milano,ove era avvenuto l'incontro dei Gerarchi con MUSSOLINI, invece di portarsi come fecero tutti i reparti nella zona Piazza C astello-Sempione,direzione autostrada Milano-Como, giunto nella sua sede di via Casati, zona Venezia, uscì dalla città in borghese a bordo del carro M 14, seguito da un camioncino dove erano sistemati alcuni uffuciali e militi ( solo il Tenente Ciabatti era in divisa ) dirigendosi verso Sesto San Giovanni-Monza e cioé dalla parte opposta a quella stabilita. Uno scambio di fucileria avvenne solo attraversàndo Sesto San Giovanni; senza altri inconvenienti il gruppo nella notte giunse al bivio Olgiate MolgoraBrivio. Qui c'era in attesa una macchina civile,il Generale con gli Ufficiali, dopo aver dato al carrista le indicazioni per raggiungere Como via Lecco, sparirono nelle tenebre in rifugi precedentemente predisposti ( Torre dei Busi ). Quindi all'alba del 26 aprile il Legionario Ruocco, con altri due militi già al seguito del Generale,si diresse verso Lecco; poco prima però questi ultimi abbandonarono il carro invitando il carrista a seguirli in un rifugio sicuro. Alla risposta negativa i due si dileguarono nelle campagne circostanti mentre Ruocco si portava a Lecco, presso la caserma delle B.N., il cui contingente si accingeva ad abbandonare la città diretto verso Como, via provinciale per Erba. ( i tedeschi,in tregua d'armi, non prestavano alcun aiuto a reparti italiani).
La colonna,con in testa il carro M 14, durante la marcia venne ripetutamente attaccata da partigiani e definitivamente bloccata nella zona di Civate. Il carro, naturalmente, partecipò agli scontri sparando con le armi di bordo. Dopo un'accanita resistenza il Tenente Comandante il reparto delle B.N. ( che aveva subito sensibili perdite in morti e feriti), si arrese. Stessa sorte subì il carrista che prima di abbandonare il carro rese inutilizzabili tutte le armi di bordo. Per aver fatto questo ebbe anche lui" particolari riguardi" prima di essere trasferito al campo di raccolta di Oggiono e poscia Como, presso una scuola per proseguiresuccessivamente per Modena e Coltano.(Vedere nota precebente del Legionario Ruocco - settore Milano)(si allega la relazione del Rettore del Santuario della Beata Vergine Maria della Vittoria di Lecco, sacerdote Luigi Brusa. In calce viene riportata la fotocopia del biglietto ritrovato sulle tombe dei Caduti nel Cimitero di Acquate-Lecco).
Tragica invece la sorte del Battaglione Perugia comandata dal Cap. Dal Monte
Gilberto e del Reparto della Leonessa al comando del Tenente Ferraris Giovanni.
Così rievocano gli avvenimenti del 26 e 27 aprile 1945 i Legionari Lombardi Silvio
e Mandelli Emilio:
La notte del 26 aprile 1945, la colonna del Gruppo corazzato
"M" Leonessa proveniente da Bergamo, é in ripiegamento con destinazione Como. La compongono quaranta uomini, alcuni della Batteria, altri del Reparto esplorante. Ufficiali: i Tenenti Ferrari e Ferraris,il Sottotenente Satta, un altro Sottotenente che non conosco. Unico Sottoufficiale
é il Sergente maggiore Messandri della Batteria.Durante il percorso s'aggregano altri centoventi uomini del Battaglione Perugia con 14 tra Ufficiali e Sottoufficiali.
Abbiamo quattro trattori SPA trainanti due cannoni -da 75/27 e due carrelli portamunizioni: un carro L 3, autocarri, motociclette, una corriera. Io viaggio sulla motocicletta guidata da
Zibetti.Procediamo lentamente, fermandoci spesso a causa dello SPA di
Bortoluzzi che perde dal radiatore perché, in uscita da Bergamo, aveva tamponato il cannone che lo precedeva. Scende una pioggerella insistente che piano piano ci infradicia.Alle soglie di Lecco, nel manzoniano rione di Pescarenico, ci accolgono alcune raffiche di mitragliatrice. La colonna si ferma, sento dire che il Tenente Ferrari é stato ferito ad un piede. Buio pesto. Vengo a sapere che é stato mandato avanti l'L 3 con sopra Chiti e Gori muniti di mitragliatore. Le raffiche si susseguono, il carro torna indietro. Ci dicono che aspetteremo l'alba.
Io casco dal sonno. Allargo la gibbosità di una saracinesca di un casa sinistrata e mi butto a dormire sulle macerie che ricoprono il pavimento. Nel sonno sento sparare uno dei nostri cannoni. Mi svegliano la luce del giorno e le raffiche di mitragliatrice.
Mi trovo accanto
Bambini, classe 1929. Salgo con lui verso il piano superiore. Sul pianerottolo c'é Furini, un motociclista, che con il moschetto spara da una finestra verso la testata d'un ponte, piuttosto lontano, dalla quale tirano verso di noi. Arrivano delle raffiche che frantumano l'intonaco incipriandoci di bianco.Furini mi informa che i nostri si sono asseragliati in alcune case a poche decine di metri dal luogo dove ci troviamo. E urgente raggiungerli: Bambini preferisce farlo di corsa, io vado sulla moto con Furini, dopo che Bambini é arrivato. Raffiche per tutti, ma senza conseguenze.
Ritrovo Cesare Pozzo, il quale mi dice che l'L 3 é uscito con il Tenente Ferrari e un Sottotenente in cerca di rinforzi a Como. Con Chiti e Gori demoliamo a colpi di piccone un pezzo di muro di un cortile interno e andiamo a sistemarci nella palazzina accanto. Cesare e Bruni si mettono con un Bren alla finestra di un pianerottolo che guarda verso il retro, in direzione della ferrovia e di un edificio che qualcuno dice essere l'ospedale dei mutilati. Con Chiti e Gori, che hanno il Breda 30, mi piazzo in soffitta, dalla parte opposta. Dalle finestre basse e larghe controlliamo, attraverso un piccolo giardino, la strada davanti a noi, che un alto muro di cinta ci nasconde in parte sulla destra. In strada é fermo uno degli SPA con il cannone al traino e il motore ancora in moto. Alla nostra sinistra sono le due case con gli altri camerati, dalla destra sparano i partigiani.
Noi dobbiamo pensare a difendere il cannone. I partigiani tentano l'assalto un paio di volte e riescono ad arrivare con una mitragliatrice e un Bren fino al cannone, ma sono costretti al ritiro abbandonando sul posto le due armi. Non si sono accorti che noi spariamo dal loro fianco sinistro, tesi come sono a difendersi di fronte.
Con un successivo assalto tentano di riprendere le armi abbandonate, e uno cerca anche di mettersi alla guida del trattore, ma li stavamo aspettando. Quando si inceppa il
mitragliatore di Gori, che ha un solo caricatore e difettoso, subentro io con il mitra. Dal terrazzino del piano di sotto un Sottotenente del Perugia lancia con maestria delle bombe di mortaio da 45. Anche questo assalto é respinto e le armi abbandonate resteranno sul posto fino alla fine del combattimento.
Verso le 13 Chiovito ci porta il rancio: pastasciutta. Il burro e carne per condirla erano sul camion in mezzo alla strada, ma Chiti e Gori non avevano esitato a rischiare la pelle per andarli a prendere.
Nel concerto degli spari s'insersce a un certo punto il rumore caratteristico della mitragliera da 20. Scendo da Cesare, che mi indica la novità: un treno blindato, con i vagoni mimetizzati recanti la croce tedesca, spara senza economia contro l'ospedale dei mutilati, dalle cui finestre i partigiani ci avevano tenuti sotto tiro fino a quel momento. Stiamo col fiato sospeso: arrivano i nostri?
No. Il treno é in mano ai partigiani, che ben presto si accorgono dell'errore e si affrettano a cambiare bersaglio. Per alcuni minuti ci troviamo in un inferno di fuoco. E il nostro cannone in postazione sull strada, per poter sparare al treno, - bisognerebbe piazzarlo sul pianerottolo, come fa osservare con calma il Tenente Ferraris che é venuto da noi per ammirare la novità. Per fortuna, di lì a poco, il treno si mette in movimento, forse alla ricerca di una migliore angolazione di tfro, passa sul ponte sopra la strada e finisce in zona coperta, dalla quale non sò perché non torni fuori. Avranno avuto paura di ripassare davanti al cannone puntato?
Cesare mi dice che gli abitanti della casa sono in cantina e che c'é con loro la quasi totalità di Perugia. Scendo a vedere: i borghesi piangono di paura.
Risalgo. Ed ecco un urlo di Gori: "I carri! I carri! Arrivano i nostri!". Le sopite speranze si ridestano di colpo, ma Cesare, calmissimo, mi raffredda: "Lascia perdere, i rinforzi all'ultimo momento arrivano solo al cinema". I pretesi rinforzi sono due autoblindo che qualcuno dice essere delle "Dingo" inglesi, senza contrassegni. Sparano contro di noi, ma anche quelle si defilano e spariscono.
A un certo punto arrivano nuove esplosioni che ci fanno pensare a mortai da 81 o a panzerfaust. La casa trema, sui camion in strada esplodono le munizione e la benzina. Si alza un fumo nero e denso, fiamme, vampate. Domina un odore di polvere da sparo, abbiamo le orecchie assordate. Dobbiamo gridare per capirci.
Arriva da noi il Sottotenente Satta per avvisarci di sospendere il fuoco ma di osservare con attenzione i movimenti dei partigiani. Dice che alzeremo bandiera bianca per cercare di guadagnare tempo.
Stà bene. Satta ritorna dall'altra parte. All'improvviso si alza un gran urlare sulla strada e vediamo i partigiani armati correre verso di noi come impazziti. Qui se non spariamo ci fregano come stupidi, e mi viene in mente di Gropparello. Spariamo, e il combattimento si riaccende.
All'incirca verso le 17 veniamo avvisati che alzeremo bandiera bianca per la seconda volta. Vengono avanti tre partigiani, lentamente, con bandiera bianca anche loro.
Il Sottotenente Satta viene a dirci che si é conclusa la resa. Condizioni: onore delle armi, libertà entro tre giorni ai soldati, prigionia per gli Ufficiali.
Abbiamo due morti, uno del Perugia caduto durante la notte, il cui corpo era nella corriera bruciata con gli altri automezzi sulla strada; l'altro é il Sergente Maggiore Messandri colpito da una raffica mentre sparava, in piedi davanti alla finestra, imbracciando il Breda 30.
Arrenderci. Nel cortiletto il nostro gruppo di giovani (i più anziani siamo Cesare ed io, del 1926) deve aver l'aria di non volersi rassegnare. Ferraris ci chiama, Cesare ed io, e ci invita a persuadere gli altri di non fare gesti incònsulti.
Davanti al corpo senza vita di Messandri ci inquadriamo. Il Tenente Ferraris ci dice che ormai tutto é finito, che lui sente la responsabilità di farci tornare alle nostre famiglie,
che la Patria avrà ancora bisogno di noi nella vita civile. Avevamo pensato a ben altro congedo, dice, e non abbiamo neppure una bandiera da ammainare attorno alla quale stringerci per l'ultimo saluto. Ci ringrazia del servizio prestato nelle tradizioni della Leonessa, che si arrende dopo aver combattuto al limite del possibile. Si china a baciare la fronte del Caduto - la nostra ultima bandiera - e cerca invano di chiudergli gli occhi.
"Legionari, presentat-arm!"
"A noi!" urliamo, e il pianto prende subito alla gola.
Stacco il caricatore con le ultime pallottole e lo scaglio contro il muro. Rendiamo inservibili le armi rompendo i percussori, poi usciamo in strada.
Ci inquadriamo man mano che arrivano gli altri, le armi in spalla, scariche e inutilizzabili. Due file di partigiani ci guardano dai lati della strada, i fucili rivolti verso terra. Fumiamo. Ci vengono a chiedere sigarette. Intorno i muri sbrecciati, i fili penzolanti dai pali, le macchine che bruciano ancora, i morti adagiati sui marciapiedi, il sangue schizzato fin oltre il muro.
A piedi, inquadrati, a testa alta, camminiamo fra due ali di partigiani fino alle scuole di via Ghislanzoni. Ad un incrocio un gruppo di borghesi, soprattutto donne, c'insulta. Davanti alle scuole buttiamo le armi in un mucchio, poi ci fanno entrare in un cortile lungo e stretto. Qui ci mettono al muro, su quattro file, tutti quanti. Davanti a noi, per terra, fucili mitragliatori e Bren, a intervalli regolari. Botte. "Ladro di un fascista, fuori il portafogli!". Sputano sulle fotografie, stracciano i documenti, intascano ipochi soldi. Ci tolgono la camicia e la maglia, a qualcuùò tolgono anche le scarpe.
Ci impongono di cantare, e molti abbediscono, impauriti. Dapprima é la lugubre canzone del partigiano, poi le nostre stesse canzoni, per scherno.
Non ci fucilano. I preti si sono dati da fare per calmare quelli che volevano il massacro, hanno prospettato la possibilità di conseguenze da parte degli Alleati. Non stà bene ammazzare i prigionieri di guerra.
Ci fanno salire al piano più alto della scuola. Attraverso una porta é stato messo Zibetti, svenuto e sanguinante di botte. A pugni e con il calcio del moschetto ci sospingono a passare, per calpestarlo.
Siamo in 160, a torso nudo, entro una normale aula scolastica e dobbiamo subire le ingiurie e le percosse di tutti i coraggiosi ubriachi che vengono a sfogarsi su di noi. I più bastonati sono gli Ufficiali, i nostri e quelli del Perugia. Dopo ogni percossa Ferraris ricompone il suo sorrisetto e ciò gli vale altre botte. Satta subisce impassibile.
Il giorno dopo, il 28, Ufficiali e Sottoufficiali si vedono restituire le camicie nere. Per "trasferimento", dicono, e nessuno si fa illusioni.
Alla sera un partigiano ubriaco - il "Tigre", quello che si era particolarmente distinto nella bastonatura dei prigionieri - viene a vantarsi bestialmente dell'uccisione dei 16 Ufficiali e Sottoufflciali, a mostrarci il loro sangue sui suoi vestiti.
Viene, più tardi, un ufficiale delle Fiamme verdi a dirci che i nostri Ufficiali sono morti da eroi, che il loro ultimo pensiero é stato per la nostra incolumità, che egli stesso aveva dato la sua parola che non saremmo stati fucilati. "Potete essere fieri di aver avuto Ufficiali simili", dice. ma prima di ucciderli li avevano portati in giro su un camion a subire gli sputi e le percosse della gente.
Dopo qualche giorno mi conducono con altri camerati al cimitero di Acquate per farci seppellire i nostri mmorti. Il becchino, divisa nera e fascia CLN, s'era rifiutato di scavare le fosse. E un'operazione che non ci lasciano compiere in pace. Vogliono scoperchiare la cassa che reca la scritta "corpo bruciato" (era il morto del Perugia rimasto nella corriera che era stata bruciata) e poi ne scoperchiano altre con sadica curiosità. Dalle grate del muro di cinta altra gente reclama la sua parte di spettacolo, e bare scoperchiate vengono portate perché anche loro vedano i fascisti assassinati. -
Dopo alcuni giorni della più completa anarchia, con percosse continue, là prigione-scuola di Lecco viene affidata al comando del sergente maggiore Manzoni, un sottoufficiale di marina coadiuvato da alcuni carabinieri, e cessa l'andirivieni di bastonatori. Un giorno, portando il rancio nelle varie camerate, trovo in una di queste il Tenente Ferrari che era stato catturato prima di giungere a Como. Mi chiede notizie dei camerati uccisi, di Ferraris e Satta, e mi lascia la sua giacca.
Passa del tempo,- poi ci fanno salire sul un tram per portarci ad Albavilla, dove c e una specie di campo di concentramento. Non siamo allegri, un precedente scaglione é stato aggredito durante il viaggio conciato per le feste. Arriviamo senza incidenti, ma non c'e' posto. Prima di riportarci indietro assistiamo al trattamento che fanno ad un Ufficiale, costretto a correre da una parte all'altra del campo mentre i partigiani lo picchiano a calci a pugni, con il fucile, finché dalla gente che assiste non incominciano ad alzarsi grida di "Basta, assassini!".
Ci portano allora alle scuole di Acquate, dove resteremo fino al 10 giugno, quando saremo presi in consegna dagli Alleati e trasferiti al campo di Modena, premessa di quello di Coltano.
i
Caporale Silvio Lombardi
59
Bergamo 26 aprile 1945
La città é quasi copletamente evacuata dai fascisti e stà per essere occupata dai partigiani. L' ultima colonna che obbedisce all'ordine di ritirata su Como,é formata dalla B.L.M. da 75/27 e dal reparto esplorante del Gruppo Corazzato "Leonessa"
Passano le macchine per le vie di Bergamo quasi completamente deserte,sp<5radici grupPi di cittadini battono le mani,sarà per la gioia di vedere i fascisti che se ne vanno, o perché confondono i medesimi con i partigiani 9 Qualcuno smette di acclamare perché si accorgono dell'errore. Dalle finestre socchiuse si intravedono occhi che spiano e cuori che battono di paura. Finirà così senza combattimenti e senza distruzioni? Evidentemente Bergamo é una città fortunata, ma delle poche che degli orrori della guerra, non ne ha subito alcuno. Le sue case intatte non lese dai bombardamenti, sembrano diventate grigie,sembra abbiano assunto il colore del cielo del quale viene una minuta pioggerella a stendere uno strato di umidità sulle strade. E questo strato di umidità provocò il primo incidente: un trattore si ferma di colpo,l'altro slitta e va a danneggiarsi il radiatore sulla bocca del cannone antecedente. La colonna prosegue lentamente contornata dai motocidisti che la fiancheggiano ed il rombo dei motori é l'unico rumore che desti ancora l'impressione della vita della città deserta. Ad esso si unisce improvviso un altro rumore ma quello desta 1' impresione della morte. Partono rabbiose alcune raffiche,sibilano le pallottole,i legionari rispondono al fuoco ed i partigiani spariscono. La marcia riprende quando ormai si fa buio e la colonna si divide per un errore di direzione.
Proseguono per Como il piccolo carro armato L.3 , alcuni camion e mezza batteria, nella notte la marcia della colonna é lenta, interrotta ad ogni chilometro.Lungo la strada si unisce alla" Leonessa" pure la compagnia d'assalto del Btg. Perugia,anch'essa motorizzata. Verso le due del mattino i due reparti riuniti si trovano nelle vicinanze di Lecco in un sobborgo denominato Pescarenico, e qui veniamo attaccati dai partigiani. Partono le raffiche dapprima rade,poi più serrate. La colonna ha il primo morto si tratta del Legionario Battistini del Perugia, ed un ufficiale (il Tenente Ferrari ) ferito ad un piede. Ad interrompere il duello tra le opposte armi automatiche si interpose improvvisamente un cannone della " Leonessa " . Ed ecco le mitragliatrici partigiane tacersi per poi riprendere improvvisamente da tergo, anche l'altro cannone entra allora in funzione. Per tutta la notte, i due pezzi tengono in rispetto il nemico.
Al mattino la situazione si presenta alquanto grave .I partigiani sono in possesso di tutti i punti strategici, ed allora i fascisti si rinchiudono in alcune case ed iniziano la resistenza. Alle nove del mattino esce il Tenente Ferrari con 1' L 3 per andare a Como a cercare rinforzi. Arriveranno?
Finora i partigiani sparano con armi automatiche, ma i Legionari rispondono e cominciano ad infliggere le prime perdite. Ogni partigiano che si mostra per un attimo solo, viene fatto segno a nutrite raffiche. Verso le quattordici il nemico tenta un assalto ma i Legionari lo respingono.Entra allora~in funzione da parte partigiana la " mazzurha"(specie di pugno corazzato che incendia i camion della benzina e delle munizioni. Agli scoppi improvvisi delle granate e della benzina che brucia, tremano le case e si staccano pezzi di calcinacci. Ormai é finita pensano i fascisti e continuano a tener duro attendendo la morte. Nessuno più spera nei rinforzi quando a peggiorare la situazione arriva un treno blindato partigiano. Raffiche da 20 e di 37/54 m/m stendono cortine di fumo attorno al gruppo di case ove resistono i Legionari. Ma appena- queste si diradano essi tornano a rispondere al fuoco. Il Sergente Maggiore Alessandri della" Leonessa " é colpito dalla 20 m/m e muore mentre spara col mitragliatQre completamente allo scoperto. Il Tenente Ferraris della " Leonessa "ha fatto tuonare il cannone anche quando le raffiche più violente si abbattevano sul pezzo. Al concerto di raffiche di sibili e di schianti si unisce ora il mortaio da 81 che viene a completare l'opera del treno blindato e della "Mazzurbha" .Non appena cessato di saltare i fusti di benzina e le casse di munizioni, ecco nuovamente i partigiani all'attacco. Ed ancora vengono respinti,con raffiche di mitraglia e bombe a mano. Una esaltazione, una tale euforia hanno preso i Legionari,che questi sparano,sparano senza pensare a niente, senza pensare alla morte, senza pensare alla casa, sono ormai convinti di morire e vogliono vendere cara la pelle. Ogni colpo che esce cadenzato dalla bocca del mitra, é un incitamento a sparare ancora e l'odore della polvere é un profumo inebriante che spinge ancora più a resistere. Il sibilo della pallottola nemica non intimidisce ma fa sorridere perché ( pensa il Legionario ), quella ormai non mi frega più!' Come una cosa impossibile ed inattesa giunge un ordine "Cessare il fuoco " .1 Legionari dalle postazioni si guardano stupiti, e per la prima volta il sorriso sparisce dalle loro labbra. Arrendersi. No, é impossibile! l'ordine viene passato di arma in arma dai Legionari con un nodo alla gola che ormai pochi riescono a trattenere. Ragazzi giovani ma che pure hanno affidato la morte ad ogni minuto senza tremare, piangono al pensiero di doversi arrendere, di dover cedere quelle armi che erano diventate a loro care. I quaranta uomini della " Leonessa " vengono riuniti in cortile dal Tenente Ferraris davanti alla salma del Sergente Maggiore Alessandri. Il tenente parla e dice che ormai la resistenza non ha più scopo perché la Repubblica é caduta, ringrazia tutti del servizio prestato con fede e così mal compensato dalla sorte avversa, rimpiange di non poter sciogliere il reparto al canto degli inni fascisti in forma solenne.
Davanti ai Legionari che ascoltano, il Tenente, si china e bacia la fronte del caduto. Cerca di chiudergli gli occhi, ma le palpebre si ribellano, vogliono guardare l'ultimo 1 Legionario che esce con l'onore delle armi, vogliono vedere bene in faccia il primo partigiano che entra. Sono gli occhi di uno abituato a guardare la morte, sono gli occhi di un vecchio " M " medaglia d'argento in Rùssia e vogliono vedere ancora in faccia il nemico. I Legionari levano rabbiosamente i caricatori dalle armi e li sbattono per terra, gli artiglieri tirano fuori le pistole ed aspettano l'entrata dei partigiani per uccidersi piuttosto d'arrendersi. Il Sottotenente Satta riesce a convincerli ed a disarmarli. Escono gli " M" dal teatro del loro ultimo combattimento e passano fra i partigiani con l'onore delle armi ed inquadrati. I trattori e le macchine bruciano ancora,le case sono crivellate dai colpi, chiazze di
sangue bagnano il marciapiede e l'asfalto della strada ed alcuni morti giacciono ancora per terra, coperti. I patti della resà prècisavano : onore delle armi ed impegno di rilasciare entro tre giorni i Legionari. Tutto ciò invece non verrà osservato e la parola d'onore data al nostro comandante non mantenuta. Appena giunti alla loro caserma il foglio dei patti di resa venne strappato, i Legionari, denudati dai vestiti, scarpe e qualsiasi oggetto personale, vennero messi al muro per essere fuculati. In tutto 160 uomini ed il più vecchio combattente un venteniìe. A questo proposito di macello intervenne il sacerdote di Lecco, il quale scongiurò i partigiani che non spargessero tanto sangue inutilmente, e nel medesimo tempo gli Uffuciali e Sottufficiali, in tutto 16 si offersero di morire per sa'vare i 160 Legionari. E così fu fatto; i 16 uomini vennero trucidati mentre i Legionari furono messi in una stanza di mt. 3 x 4 e vi rimasero per 4 giorni, senza mangiare e sedendosi in 5 o 6 a turno ( era impossibile sedervisi di più perchè mancava il posto ). Al quarto giorno eravamo sfiniti, sia per la fame, sia per le botte prese e pensarono allora a noi con un pò più di comprensione e ci dettero un panino in quattro con pezzo di formaggio.
Il carcere di via Ghialanzoni era presiedato dalla brigata Spartaco con elementi della città di Lecco, e comandata dal-comandante della brigata stessa,certo Spartaco Mauri, collaborato dall'ispettore che era Sergente Maggiore di marina, uno sporco vendutosi dopo aver fatto parte della marina repubblicana, non si vergognava a venire a picchiare i legionari ormai sfiniti ed inermi. Circa otto giorni dopo di duro carcere ci mandarono a seppellire i nostri Ufficiali vilmente trucidati assieme ad altri fascisti ed un Tenente tedesco, nel cimitero di Acquate, borgata vicina a Lecco.
"Particolari sul seppellimento dei nostri camerati"
Giunti i pochi Legionari incaricati di dare sepoltura ai loro camerati furono investiti di risa e di insulti proprio sul cancello del cimitero da parte della popolazione ostile. Alcuni partigiani entrarono nel cimitero imponendoci di scoperchiare le bare asserendo di non aver ancora visto i cadaveri, se ne andarono poi dopo aver sputato sui morti e canzonato gli improvvisati becchini del loro strano comportamento.
Lecco 10 maggio 1945
Il primo scaglione di fascisti imprigionati in carcere, parte alla volta del campo di Albavilla. Io sono questa volta fra i fortunati perché vengo trattenuto in carcere mentre parecchi miei compagni partono e per il viaggio ricevono un'altra dose dileguate; Dopo alcuni giorni io mi ammalo e nonostante Ta forte febbre che mi causa delirio,vengo trascurato e lasciato in cella sulla poca paglia ed alle cure dei miei compagni.
10 giugno 1945
Partenza da Lecco su camion inglesi e sotto scorta di soldati Sud Africani, alla volta del miserando campo di concentramento di
Modena. Al passaggio da Milano la popolazione ci insulta e inoi si risponde cantando Giovinezza;