Il Fascismo clandestino nell'Italia meridionale

Alessandro Maria Raffone

     

Testimonianza di Ciccio Fatica

Da Ciccio Fatica - 19 luglio 2017
Ringrazio per il vostro invito e mi scuso se le mie condizioni fisiche, dovute alla grande età, non mi consentono di essere qui tra voi.
Alessandro Raffone ha approfondito in modo appassionato ed esauriente una pagina di storia che è stata per tanto tempo volutamente dimenticata.
Non posso aggiungere altro ad una trattazione cosi approfondita.
Voglio solo portare qualche personale ricordo di quegli anni oramai cosi lontani.
Avevo solo 15 anni quando, sfollato da Napoli con la mia famiglia a Sant’Onofrio, un piccolo paese vicino a quella che ora si chiama Lametia Terme, il 9 luglio 1940 sentii in lontananza il fragore e il lampo dei cannoni della battaglia di Punta Stilo che si svolgeva in mare nello Ionio.
Ero allora un avanguardista marinaretto, orgoglioso della sua bianca divisa e della sua fede fascista e tremavo di gioia sentendo che finalmente si combatteva.
Dai tempi di Napoleone il Mediterraneo era stato considerato un lago britannico ed ora la nostra Flotta si scontrava con il nemico di sempre…
Fu una battaglia senza vincitori né vinti ma io e tanti pensavamo che fosse l’inizio della riscossa.
Poi ci furono le illusioni e le delusioni. Le sorti della guerra cambiarono ma non il mio entusiasmo per quella che ritenevo una giusta causa.
Ci fu alla fine lo sbarco alleato in Sicilia il 19 luglio 1943e poi il tradimento del 25 luglio ma io ero lì deciso a fare il mio dovere.
Il 4 settembre 1943 ero alla stazione ferroviaria di Vibo Valentia per prendere il treno che doveva portami a Venezia dove volevo frequentare l’Accademia Navale per diventare Ufficiale di Marina. (A causa della guerra l’Accademia si era trasferita da Livorno a Venezia).
Ero lì con la mia valigia ma attesi invano…il treno non partì mai.
Dopo aver compiuto il 17 agosto la conquista della Sicilia i nostri nemici erano sbarcati in Calabria con una operazione anfibia che venne poi soprannominata dagli inglesi “la regata dello stretto di Messina” in quanto le truppe costiere italiane e la loro artiglieria si arresero dopo aver sparato pochi colpi.
A noi giovani, che niente sapevamo delle trattative di resa e dell’armistizio già firmato a Cassibile il giorno prima, il 3 settembre, e che vivevamo ancora nell‘illusione de “la guerra continua” queste notizie ci gettarono in un profondo sconforto.
Solo dopo qualche giorno avemmo notizia che, ad armistizio oramai proclamato, a Zillastro, non lontano da Sant’Onofrio l ‘otto settembre il III e l’IX battaglione del 185° reggimento paracadutisti della Divisione Nembo avevano ingaggiato una strenua battaglia contro i canadesi.
In 400 contro 5.000 si coprirono di gloria e proseguirono poi la lotta contro gli alleati invasori a fianco dei Tedeschi.
Allora, pensammo che non era tutto perduto e che l’onore d’Italia si poteva ancora riscattare.
Cosi io e tanti altri giovani si ribellarono agli alleati invasori e cominciarono quella resistenza che Alessandro Raffone ha descritto così bene nel suo libro.
Purtroppo il nostro entusiasmo fu presto spento e finii in galera prima a Catanzaro e poi a Napoli.
Ci sono restato due anni e due mesi finché, a guerra finita, il 22 giugno 1946 ci fu la cosiddetta amnistia togliatti.
Ma per me non finì subito. La mia famiglia, a prezzo di grandi sacrifici, mi aveva affidato ad un avvocato, già allora famoso, il quale si dimenticò di chiedere per me l’applicazione dell’amnistia.
Restai ancora a Poggioreale per qualche settimana finché un camerata avvocato presentò il ricorso e tornai libero.
Il mio avvocato, che avrebbe dovuto difendermi, si chiamava Giovanni Leone.
Voglio solo aggiungere che a tanti tanti anni di distanza da quegli avvenimenti dico ancora che abbiamo fatto bene e che nella lotta del sangue contro l’oro eravamo dalla parte giusta.