MEZZOGIORNO E FASCISMO CLANDESTINO
di Francesco Fatica

Capitolo VIII

Valerio Pignatelli

Come abbiamo già visto, il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara venne designato quale capo delle "Guardie ai Labari".
    Eccezionale personaggio di grande coraggio, carattere avventuroso, indipendenza e stile di vita, vita vissuta intensamente, sempre teso nella lotta per i più alti ideali, nacque a Chieti nel 1886; come già detto, fu comandante di Arditi nella grande guerra; di Dubat nella guerra di Etiopia; di Frecce Nere nella guerra di Spagna; carico di medaglie e di ferite, di ordini militari nei più alti gradi (di Savoia, italiano - della Legion d'onore, Francese - della Silver Star, americano - della Cruz Laureada di San Fernando, spagnolo) alla sua non più tenera età aveva voluto ancora ottenere il comando di un reparto di paracadutisti, dopo aver regolarmente frequentato e superato i corsi ed i lanci a Tarquinia.
    Durante la sua movimentatissima vita aveva trovato il modo di impegolarsi nella rivoluzione comunista di Bela Kun in Ungheria: era addetto militare a Budapest e rimase, unico diplomatico straniero a proteggere gli interessi di quasi tutti i paesi europei.
    Ritenne ancor più doveroso partecipare agli eventi della rivoluzione della stessa Russia Sovietica, dove combattè ovviamente con i "Bianchi" di Wrangel.
    Nel 1920 fu implicato in Messico in una delle tante rivoluzioni di quel periodo finendo per essere acclamato imperatore in una provincia del Sud, sia pure per soli dieci giorni; Valerio Pignatelli ne rideva per primo quando lo raccontava.
    Purtroppo, quell'avventura fu funestata dalla tragica perdita della prima moglie. Egli stesso scampò per puro miracolo oltre frontiera, negli Stati Uniti, dove arrivò ferito senza scarpe, sconosciuto.
    Ma dopo sei mesi riuscì a risalire la china e sposò la figlia del miliardario Hearts proprietario di una catena di giornali estesa dal Pacifico all'Atlantico. Da questa seconda moglie dovette divorziare più tardi per incompatibilità con lo stile di vita dei miliardari americani.
    Tornato in Italia, sposò poi Maria De Seta, che aveva già conosciuta molti anni prima, giovanissima; Maria fu per lui la moglie ideale in quanto concordava con lo stile e con gli ideali a cui egli aveva consacrato la vita.
Il principe Valerio Pignatelli    Valerio Pignatelli aveva aderito tra i primi al movimento fascista, ma si era dimesso più volte; fu in accesa polemica anche con Farinacci.
    Il 25 luglio '43 Pignatelli, più ribelle che prono alla dittatura fascista, avrebbe potuto ritenersi esonerato dall'incarico delle ipotizzate Guardie ai Labari, incarico imprecisato e pressocchè irrealizzabile per i sopravvenuti eventi. Invece, coerentemente con il suo stile di vita e con i suoi ideali, il principe ritenne di aver il dovere di attuare a qualunque costo il difficilissimo mandato.
    Come già detto nel cap. I, Ettore Muti, Barracu e Pignatelli preparavano un colpo di mano per liberare Mussolini, ma poi si divisero i compiti e Pignatelli tornò in Calabria per ricostruire l'organizzazione delle "Guardie ai labari" nell'imminenza dell'invasione.
La principessa Maria Pignatelli    A Napoli nel frattempo agiva, su disposizioni avute direttamente da Ettore Muti, un altro protagonista della lotta clandestina, il tenente Antonio De Pascale che nel 1941 durante la sanguinosa battaglia di Monastir, nella campagna di Grecia, era stato ferito molto gravemente mentre, come comandante di compagnia, avanzava allo scoperto alla testa dei suoi soldati all'attacco di una munita posizione dominante greca.
    De Pascale riuscì miracolosamente a sopravvivere per l'intervento personale di Mussolini che seguiva l'attacco dall'osservatorio di Stato Maggiore. Così De Pascale fu imbarcato di urgenza su una nave ospedale e quindi trasferito a Bologna, dove fu ancora una volta operato e trattenuto in convalescenza e per le cure riabilitative. A Bologna fu visitato da Ettore Muti, che cercava elementi affidabili tra gli ufficiali distintisi per condotta valorosa e responsabile, onde utilizzarli in una azione di opposizione alle trame disfattiste che si concretarono poi nella seduta del Gran Consiglio il 25 luglio del 1943, ed ebbe da lui istruzioni per le azioni future. In seguito a ciò de Pascale ebbe un permesso dall'ospedale per venire a Napoli, ove contattò il tenente Sorrentino, il prof. Farnetti e Nando di Nardo, anch'egli reduce dal fronte greco, Enzo Di Lorenzo, Nicola Galdo e Vito Videtta.
    Verso la metà di dicembre 1943 Pignatelli ricevette a mezzo radio, con un cifrario precedentemente concordato con Barracu, l'ordine di spostarsi a Napoli per meglio seguire le operazioni degli eserciti "alleati" e per tenere contatti diretti anche con i fascisti della Campania.
    Il principe appena giunto a Napoli riprese i rapporti con il colonnello Luigi Guarino, vecchio ardito di guerra, Fiamma Nera, di cui era molto amico e poi entrò in contatto con Nando di Nardo e con Antonio de Pascale che aveva attivato il nucleo previsto da Muti.
    A loro si aggiunsero ben presto decine e decine di uomini e donne ferventi e decisi.
    Mi limito a citare l'ing. Ruggero Bonghi, il prof. Giuseppe Calogero, Nicola Galdo, che scriveva e stampava un giornale con un ciclostile trafugato nottetempo dalla sede del GUF, la prof.ssa Elena Rega, che poi sposò De Pascale, il libraio Bolognesi, Pasquale Purificato, Antonio Picenna, il marchese Capitano di vascello Marino de Lieto, anche lui superdecorato eroe della I guerra mondiale, che, facendo base nello studio dell'arch. De Pascale, partiva per certe sue solitarie, segretissime missioni di sabotaggio arrivando a rischiare la vita in strenui corpo a corpo, come un qualunque giovane assaltatore.
    De Pascale diceva di lui e di qualche altro che agiva in "solitario", che facevano una loro guerra privata.
    Pignatelli si servì principalmente della collaborazione dell'avv. Nando di Nardo e dell'arch. Antonio de Pascale a Napoli, dell'avv. Luigi Filosa a Cosenza e per i contatti con la Puglia, e del tenente Pietro Capocasale e di Simone Ansani nella provincia di Catanzaro1
    Così Pignatelli non disponendo di alcun finanziamento, fu costretto ad agire sacrificando beni personali ed utilizzando al meglio l'abnegazione di camerati in Calabria, in Puglia ed in Campania2.
    Gruppi organizzati secondo le direttive venute da Roma, vennero collegati con vari gruppuscoli nati spontaneamente fra giovani ed anziani.
    A Napoli riuscirono a prendere contatti con il mondo dell'antifascismo e con le massime autorità del governo badogliano e degli eserciti di occupazione.
    I collegamenti con la Calabria erano tenuti dal colonnello Guarino, superando proibitive difficoltà di viaggio.
    Intanto aveva preso contatti con Pignatelli il tenente di vascello Paolo Poletti, agente speciale della RSI, che era riuscito ad infiltrarsi nell'OSS (servizio segreto americano).
    Giovanni Artieri nella sua "Cronaca della Repubblica Italiana" racconta come il principe e la principessa si sistemarono strategicamente in una villetta sulla collina di Monte di Dio, nella piazzetta del Calascione, villetta che fu frequentata da intellettuali antifascisti e dal più qualificato mondo militare inglese e americano presente a Napoli, dalle massime autorità del governo del "Re", dal generale Wilson, dai capi dei servizi segreti militari (l'Intelligence Service, inglese - l'OSS, americano - il SIM, italiano), dai capi dell'amministrazione di occupazione (AMGOT), dal prefetto, dai generali "alleati" di passaggio per la città. A tutta questa gente i principi Pignatelli offrivano lauti pranzi, in una cornice aristocratica abbagliante e... "con roba calabrese" allora irreperibile a Napoli, ottenendone preziose informazioni militari e politiche, come scrisse lo stesso Pignatelli nel suo rapporto inviato alla Corte Centrale di Disciplina del MSI nel giugno 1948 in occasione di una polemica con il prof. Pace.
    Scrisse Giovanni Artieri del principe e della principessa3: "Lavora-vano, insomma nel rosso dell'uovo. Apparivano insospettabili agli occhi inglesi e americani; Valerio per le innumerevoli relazioni collegate con la sua vita negli Stati Uniti, per la sua amicizia con Alexander Kirk e innumerevoli diplomatici americani e inglesi; lei, per uguali relazioni, specialmente nell'establishment britannico e fin quasi ai gradini del trono; perfetti inoltre nelle lingue che parlavano con l'accento di Oxford, passaporto di efficacia insuperabile presso il mondo anglosassone. Così tra l'ottobre 19434 e l'aprile 1944, nel cuore stesso di Napoli e del mondo antifascista e anglo-americano, visse e operò una cellula binaria singolarissima, che animò gran parte della "resistenza" nell'Italia meridionale".
    Pignatelli e sua moglie raccoglievano larga messe di notizie preziose per l'attività clandestina e per la R.S.I.
    Quando al principe fu trasmesso l'ordine di recarsi nella R.S.I., lasciandosi però la possibilità di tornare al Sud, Pignatelli riuscì ad ottenere un lasciapassare, ma soltanto per sua moglie, attraverso i buoni uffici del tenente di vascello Paolo Poletti (infiltrato, come si è detto, nell'OSS americano).
    Nel frattempo però un certo tenente Nuvolari5 era riuscito ad ottenere la fiducia e le simpatie dei principi Pignatelli e dei loro camerati. Accompagnò la principessa insieme a Poletti fino al punto in cui Ella si avviò a passare le linee inoltrandosi arditamente nei campi minati.
    Maria Pignatelli si incontrò con Barracu e fu portata in aereo da Mussolini, che voleva essere minutamente informato sull'attività clandestina fascista e voleva soprattutto essere sicuro che nessuna provocazione fosse attuata, facendo così evitare sanguinose rappresaglie in grado di accendere la miccia della guerra civile anche al Sud.
    Fu stabilito anche un cifrario sulla base, in chiave nove, della poesiola "La vispa Teresa" ed un codice da adoperare nella trasmissione per i prigionieri di guerra (Pignatelli era "Il cappellano", Barracu era "Ciccio", Mussolini "l'autocarro" e via di seguito)6.
    Ma l'Intelligence Service, che aveva infiltrato il suo agente Nuvolari, essendo al corrente della vera identità della principessa che aveva attraversato le linee sotto falso nome, non appena la Pignatelli ritornò a Sud, pretese dagli americani l'arresto dei principi nonostante le disperate manovre del tenente di vascello Poletti, il quale per salvare i principi, finì per scoprire il suo gioco.
    Fu anch'egli arrestato e torturato fino a farlo impazzire in una villetta isolata alle falde del Vesuvio, nei pressi di Torre del Greco, dove gli alleati tenevano i loro "interrogatori".
    Poletti non parlò; oramai ridotto ad un povero essere urlante fu tradotto al carcere di Santa Maria Capua Vetere ed ivi rinchiuso nella cella n° 8, la cella imbottita riservata ai pazzi furiosi.
    Il 19 maggio del '44, il sergente americano di guardia lasciò a bella posta la porta della cella aperta e non appena Poletti continuando ad urlare nudo ed ammanettato, uscì nel corridoio, gli scaricò addosso la pistola di ordinanza7.
    La salma fu rigettata nella cella e, chiusa a chiave, venne lasciata per due giorni a terra. Alla fine fu messa a forza in una bara molto piccola rispetto alla sua corporatura.
    Il principe e la principessa, probabilmente a causa delle loro amicizie importanti e forse anche per soffocare lo smacco delle compromissioni delle alte personalità che erano state loro ospiti, furono "interrogati" con metodi meno feroci, ma psicologicamente stressanti. La principessa, considerata più debole, fu messa al muro due volte, inscenando finte fucilazioni. Nei primi tempi furono detenuti nella villa de Falco sulle pendici del Vesuvio, nei pressi di Torre del Greco: forse la stessa dove era stato torturato il martire Poletti e, prima di lui, altri Agenti Speciali della R.S.I.
    Intanto anche Di Nardo fu compromesso per una lettera inviata a Roma al barone Marincola di San Floro a mezzo del tenente Sorrentino.
    Avvenne la delazione del barone o di sua moglie, americana, che decise probabilmente di "servire gli interessi del suo Paese in guerra" come scrive ancora l'Artieri. Seguì l'arresto di Di Nardo che era subentrato a capo dell'organizzazione clandestina fascista e, naturalmente, del tenente Sorrentino.
    Risultati vani gli interrogatori fatti dagli "alleati" i Pignatelli furono passati al CS (che aveva sede in Napoli a Via Fiorelli) capeggiato dal maggiore Pecorella, dei CC.RR., che, in stato d'ira, arrivò a colpire l'anziana principessa con il calcio della pistola sulla fronte, provocandole una ferita lacero-contusa che sanguinò abbondantemente8.
    Per inviare i messaggi da Via Fiorelli, Pignatelli finì per servirsi degli stessi militari incaricati di sorvegliarlo, evidentemente ben disposti a lasciarsi convertire. Quattro di essi furono scoperti e imprigionati, ma ebbero sempre un contegno virile e dignitoso, alla pari degli altri detenuti politici.
    Arrestato Di Nardo, al vertice dell'organizzazione restò De Pascale.
    A dargli man forte attraversarono le linee un gruppo di marò della X MAS al comando del tenente Bartolo Gallitto. In mezzo ad essi però c'era un agente doppio che li tradì; così furono arrestati e, con essi, anche De Pascale.
    Un altro Agente Speciale che aveva attraversato le linee e si era presentato a De Pascale fu Antonio Granata, napoletano verace, ottimo soldato che seppe tener testa intelligentemente, senza mollare alcuna informazione, al famigerato maggiore Pecorella giocandolo sui tempi fino a poter usufruire dell'amnistia del '46.
    Granata finì con De Pascale nella stessa cella, la cella n° 97 del padiglione Italia del carcere di Poggioreale, illuminata da un'unica finestrella a bocca di lupo. Il padiglione Italia riservato ai detenuti politici era talmente affollato di fascisti che fu necessario occupare alcune celle dell'adiacente padiglione H, ove anch'io ebbi la ventura di essere ospitato.
    Onoratissimo.
    Del processo contro i fascisti di Napoli e gli "agenti speciali" di Bartolo Gallitto parleremo in seguito.
    Dopo l'occupazione di Roma, il principe fu trasferito a Regina Coeli. Qui, a metà luglio, ricevette in modo del tutto insolito - dati i regolamenti carcerari - la visita di suo cognato, il principe Antonio Pignatelli di Terranova, che fu guidato direttamente nella sua cella, accompagnato dal procuratore generale del Tribunale americano di Roma, presentatogli come un caro amico. Il cognato si offrì di tirarlo fuori dal carcere con l'aiuto dell'amico americano, ma Pignatelli rifiutò recisamente.
    Dopo aver trascorso un paio di mesi a Regina Coeli, Pignatelli, fu trasferito nel campo di concentramento di Padula9, ricavato nella celebre Certosa, dove incontrò altri duemila camerati colà ristretti, polarizzando ogni attività politica e morale degli internati.
    Nel marzo 1945 fu trasferito nel carcere di S. Giovanni a Catanzaro per essere processato da quel Tribunale militare.
    Fu in quell'occasione che potei osservarlo da lontano, durante "l'ora d'aria", essendo anch'io detenuto nello stesso carcere. I secondini avevano ordini severissimi di non farlo avvicinare dagli altri detenuti. Egli prendeva il sole a torso nudo in un recesso del cortile del vecchio carcere per dar sollievo alle sofferenze provocate dai postumi delle sue molte ferite di guerra di cui si intravedevano chiaramente le cicatrici10.
    Processato dal Tribunale Territoriale Militare di Guerra della Calabria, fu condannato a dodici anni di carcere, essendo riuscito a minimizzare l'attività svolta ed avendo incontrato, evidentemente, la disponibilità di giudici che non gradivano compromettersi troppo11.
 
Schizzo dal vero eseguito da Vittorio Capocasale, coimputato di Pignatelli, nel carcere di S. Giovanni a Catanzaro.
 
    Dopo la condanna fu spedito al borbonico penitenziario di Procida dove finalmente incontrò quei giovani del processo degli "88 fascisti di Calabria" che, essendo stati condannati a pene più rilevanti, erano stati assegnati allo stesso penitenziario.
    A Procida erano affluiti anche altri fascisti provenienti da varie parti. Per tutti costoro Pignatelli costituì ancora una volta una guida morale e ideale12.
    Il principe venne poi trasferito nel carcere militare di Napoli (Castel S. Elmo) e fu sottoposto a nuova istruttoria per le vicende del gruppo di clandestini napoletani, ma il processo si estinse per l'amnistia del giugno 1946, come sarà riferito nel cap. XIV.
    E' da ricordare che, secondo quanto testimoniò Antonio Bonino, vice-segretario del P.F.R., Mussolini, richiedendo la consegna del principe Valerio Pignatelli e Signora, offrì in cambio qualsiasi persona, non escluso lo stesso Ferruccio Parri13.
    In una parentesi letteraria della sua vita il principe aveva anche scritto qualche romanzo di cappa e spada, quindi aveva dimestichezza con la penna e si era proposto di scrivere, in collaborazione con la moglie, una storia dettagliata dell'attività clandestina fascista.
    Purtroppo nel 1965 Valerio Pignatelli morì a Sellia Marina (CZ) senza aver portato a termine la sua fatica.
    Le sue carte furono consegnate anni dopo dalla principessa al giornalista Marcello Zanfagna deputato del Msi-DN, il quale, preso da mille impegni contingenti, non seppe trovare il tempo per portare a termine il libro che si era proposto di pubblicare.
    Purtroppo i documenti di Pignatelli, insieme a molte altre carte di altro genere, andarono disgraziatamente perduti in una vicenda di alienazione di immobile alla morte di Marcello Zanfagna.
    Ci restano oggi il rapporto che Pignatelli inviò il 7-6-1948 alla Corte Centrale di Disciplina del MSI, la memoria di Nando Di Nardo, le testimonianze dirette dello stesso Di Nardo (prima della morte) e dell'arch. Antonio De Pascale, i quali ressero, dopo Pignatelli, il comando generale della lotta clandestina fascista nell'Italia meridionale.
    E' impossibile parlare dell'attività politico-militare di Valerio Pignatelli senza accennare a colei che fu la sua migliore collaboratrice e forse ispiratrice, che certamente seppe affrontare rischi e difficoltà con ardire e forza d'animo sovrumani.
    Maria Elia era figlia di un ufficiale di Marina; crebbe nella piena adesione alla massima fascista del "Vivere pericolosamente", praticò sport audaci e amò rischiare in lunghe e temerarie navigazioni a vela. Sposò molto giovane il marchese De Seta. Con Valerio si incontrarono una prima volta ma presero vie diverse; più tardi, quando si sposarono, Maria e Valerio unirono due caratteri avventurosi ed impetuosi, entrambi prorompenti nel più appassionato amor di patria spinto fino ad osare l'estremo sacrificio, come d'altronde non era raro trovare allora in uomini, donne, giovani ed anche giovanissimi cresciuti nel clima fascista.
    Due caratteri molto simili, con interessi e forti sentimenti comuni, si incontrarono e talvolta si scontrarono, giungendo però ad ottenere, in un comune afflato, la conquista delle mete agognate.
    Maria Pignatelli ebbe modo di mostrare le sue altissime qualità quando svolse la sua missione in R.S.I., che iniziò affrontando tranquillamente le insidie dei campi minati durante l'attraversamento delle linee nella zona di Cassino e che portò a termine con perizia di diplomatico, facendosi apprezzare e stimare da italiani e da tedeschi14.
    BarracuIn particolare, durante una colazione con Barracu e Kesserling, questi ebbe a scrivere su di un cartoncino, che era sul tavolo "Se l'Italia ha molte donne intrepide come lei è una nazione che non può morire".
    Ed effettivamente Maria Pignatelli fu una donna intrepida anche quando fu "interrogata" dagli "alleati" che usarono mezzi di tortura morali, psicologici ed intimidazioni scientificamente studiate arrivando a metterla al muro ben due volte per finte fucilazioni.
    Passata poi al C.S. badogliano, fu minacciata con la pistola in pugno dal capitano CC.RR. del C.S. De Fortis, e fu schiaffeggiata15.
    Sempre nei locali del C.S. fu percossa col calcio della pistola dal maggiore Pecorella e fu vista con la fronte sanguinante dall'architetto De Pascale colà detenuto. Anche la principessa fu portata a Roma e rinchiusa alle Mantellate, quindi nel campo di concentramento di Padula.
    Alla chiusura di questo campo fu trasferita in quello di Terni tenuto dagli inglesi e da qui in quello di Riccione, anch'esso inglese, dove riuscì ad evadere audacemente conducendo poi vita clandestina fino al 9 dicembre 1947 e cioè fino all'entrata in vigore del trattato di pace.
    In tutte le carceri ed i campi dove fu rinchiusa, la principessa divenne guida morale e politica delle altre internate; tornata alla vita civile, si interessò sempre di aiutare i camerati perseguitati dalla sorte, e soprattutto dagli antifascisti.
    Maria Pignatelli è quindi degna di essere iscritta nell'albo d'oro delle donne fasciste che tutto diedero alla Patria, quali furono le Ausiliarie, quali le giovanissime franche tiratrici di Firenze, e quali perfino, oso dire, le ingenue ragazze del Sannio che avrebbero voluto lottare assieme ai camerati e che, in mancanza di contatti, isolatamente intrepide, presero l'iniziativa di lanciare dalle finestre mucchi di schegge di vetro sugli invasori anglo-americani16.

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