URBANISTICA E ARCHITETTURA DEL VENTENNIO A NAPOLI

Futurismo e architettura

I rapporti più significativi dell’Architettura col Futurismo si ritrovano nelle prime opere di Krank Lloyd Wright del 1912, nelle opere di Loos del 1911, nelle officine Fagus del 1914 di Walter Gropius e nei disegni del Sant’Elia del ’14.
Il manifesto di Martinetti privilegia l’idea di città come luogo di trasformazione dell’architettura, alla città storica e nostalgica si va sostituendo il paesaggio artificiale, i nuovi materiali “gabbie di ferro e cristallo”, Boccioni esalta il “ritorno alla necessità” uguale a “velocità”, al decorativismo si sostituisce “l’esattezza lucente” del lavoro dell’ingegnere, mentre il Sant’Elia, straordinario interprete dell’accelerazione del futurismo, nelle immagini della città futurista, interpreta l’Architettura come “arte rigida leggera e mobile”.
L’anno canonico della nascita dell’Architettura futurista è il 1914, quando il Piccolo Giornale d’Italia pubblica il testo di Trampolini: “Anche l’Architettura futurista: E che è?” con disegni e progetti; a Milano, Carrà intreccia rapporti con Sant’Elia oltre che con artisti e gli architetti Giulio Ulisse Arata e Mario Chiattone ed è qui che si organizzano mostre con i disegni di Sant’Elia e Mario Chiattone: città e case nuove, centrali elettriche e una metropoli futura.
Dal 1919 al 1927 l’avanguardia architettonica resta ambigua, tra il richiamo all’ordine novecentista e il futurismo irrequieto e insofferente, trova più facile sperimentazione nell’arredo e nella decorazione che nell’Architettura.
Intorno al “20” e fino al 1928 Fortunato Depero offre il contributo più interessante, quando a Torino si apre la prima mostra dell’Architettura neofuturista con gli architetti più rappresentativi d’Italia, con l’ambizione di proporre l’arte del Nuovo Stato Fascista.
Ed è qui che l’Architettura Futurista diventa l’interprete della vita moderna, si stacca dalla tradizione, l’uso del c.a. e del ferro e i materiali moderni contribuiscono al superamento degli stili storici, l’architettura si propone come ricerca di un nuovo ideale di bellezza, del gusto, del leggero e del pratico.
Si ristrutturano i tetti, si utilizzano i sotterranei, si riduce l’importanza delle facciate, l’Architettura Futurista è l’architettura del calcolo, della semplicità, del ferro, del cemento armato e del vetro, come sintesi ed espressione formale, ma è soprattutto quella che si confronta con le grandi opere, stazioni ferroviarie, strade, porti, mercati coperti, ed è  quella degli sventramenti salutari, come recupero di frammenti urbani, salutari non indiscriminati come ha lasciato intendere una cultura reazionaria, incapace di cogliere gli effetti innovativi dell’architettura e dell’urbanistica contemporanee.
 
“Per il Futurismo l’Architettura deve promuovere lo sforzo di armonizzare con libertà ed audacia l’ambiente con l’uomo, rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito”.

Effetti e risultati delle prime mostre

Si ha l’impressione che nell’immediato dopoguerra non si sia dato luogo a mostre nel timore che Futurismo e Architettura del ‘900 si potessero confondere col Fascismo, con intenzione di abbandonare nell’oblio siffatti movimenti.
La mostra “Futurismo & Futurismi” di palazzo Grassi del 1986, la prima nel suo genere in Europa, che fa seguito a quella tenuta al Museo delle Belle Arti di Filadelfia del 1981, motiva l’interesse per la ricerca del rapporto tra Architettura e Futurismo; con questa mostra il Futurismo viene rappresentato come fenomeno culturale internazionale, capace di coinvolgere ogni aspetto della cultura: pittura, scultura, letteratura, architettura, musica, fotografia, tipografia, cinema, moda e arredamento.
La mostra di Palazzo Grassi dedica una sezione speciale all’Architettura Futurista e riserva maggiori sorprese delle idee che sarebbero state considerate centrali da Gropius e da Le Corbusier, presenta i disegni di Sant’Elia che rappresentano la città concepita come paesaggio meccanizzato creato dall’uomo, con scale mobili e ascensori che conducono alle vette e alle spianate, in volumi complessi correlati in un nuovo paesaggio arricchito dall’intervento dell’uomo, secondo un principio che si è affermato nell’architettura moderna.

 

Come si presenta l’Architettura a Napoli

Anche a Napoli il Futurismo ha influenzato le grandi opere e l’architettura della città, la diffusione della conoscenza di questa stagione la si deve alle mostre e ai due cataloghi pubblicati in occasione delle manifestazioni del Palazzo Reale, quella del “Futurismo e Meridione” del ‘96 e quella del 1999, “l’Architettura a Napoli tra le due guerre”, promosse dal presidente della Giunta Regionale Antonio Rastrelli e curata dal Prof. Cesare De Seta, con il contributo di Paolo Varvaro, Pasquale Belfiore, Benedetto Gravagnuolo, Fabio Mangone, Sergio Stenti, Renato De Fusco, Ugo Carughi, Paolo Mascilli Migliorini, Cherubino Gambardella  ed altri, che con i loro scritti, hanno legittimato l’attenzione del regime per Napoli, in un’ottica della valorizzazione delle opere che sono rientrate a giusto titolo nella storiografia nazionale.

Dobbiamo a Cesare De Seta, quando nel 1972 rimuove gli ostacoli politici che avevano oscurato questo periodo con la pubblicazione de “La cultura architettonica tra le due guerre “ un’indagine dal rigore storiografico che non può essere tacciata di apologia che parla a pieno titolo delle opere ricadute nella condanna generalizzata del regime, e degli architetti come Libera, Piccinato, Piacentini, uomini di grande prestigio culturale e con essi anche tanti architetti napoletani.

 

Sviluppo dell’urbanistica a Napoli nel ventennio

Grandi opere del regime
Il percorso e gli studi dell’urbanistica del ventennio a Napoli e in Campania del primo dopoguerra, del Fascismo, per dirlo senza perifrasi, è lungo e tortuoso ed è fatto di timidi racconti nel timore di ricadere nell’apologia del regime.
Non di Architettura Fascista si tratta, perché non fu mai imposto uno stile, come si è fatto intendere, ma opere del Fascismo che spaziano dalle città di fondazione, alle bonifiche, alle infrastrutture, con la creazione delle grandi industrie e porti, vie di comunicazione marittime a valorizzazione dei monumenti dell’antichità e dell’archeologia, grandi infrastrutture dunque, per favorire lo sviluppo della città, che mai prima di allora aveva visto interventi così pregnanti, tali da modificarne l’assetto, con programmi seri, programmati e realizzati in tempi brevi, portati a buon fine a Napoli come a  Roma.
Per averne le prove basta sfogliare la ristampa anastatica “Le opere del regime dal settembre 1925 al giugno 1930” dal testo originale: “Napoli grandi opere dal 1925 al 1930”.
La presentazione di Rusciano, Piero Graveri e Alessandra Di Martini, studiosi non di parte, confermano l’originalità, l’impegno e il risultato raggiunto da questi interventi che vanno dalla programmazione della valorizzazione del territorio al recupero della città, operazioni mai fatte dopo il Risanamento.
Si tratta di programmi che interessano Napoli, Capri, Sorrento, Ercolano, Cuma, Pompei, l’edilizia scolastica di ogni ordine e grado dell’istruzione media e universitaria e, per la città di Napoli, realizzazione di nuovi piani con edilizia pubblica, ben sette sono i piani interessati e nuovi edifici di edilizia e assistenza pubblica, acquedotto, fognature, quattro mercati, tra questi il mercato del pesce tra le migliori opere di Luigi Cosenza.
Opere portuali e stradali, difesa foranea e ampliamento delle banchine, zone industriali, viabilità, quali la litoranea, galleria della Vittoria, affidata con concorso nazionale, prolungamento della Via Caracciolo, Via Manzoni, Via Aniello Falcone, Via Posillipo e zona ospedaliera col grande intervento del Cardarelli già “’23 marzo” affidato per concorso all’Arch. Rimini di origine ebraica.
Interventi a scala urbana corrispondenti ad una pianificazione per dare decoro alla città, lavoro alle maestranze, prospettive di spinte migliorative, rivolte anche alla qualità delle opere, tali da rappresentare anche modelli architettonici di grande valore simbolico, come il Rione Carità che, con un risanamento di tutto rispetto, si propone alla città come centro degli affari e direzionale con gli edifici della Provincia, Finanza, Questura e Casa del Mutilato, recupero del Maschio Angioino, realizzazione della Posta Centrale di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, opere di straordinario valore architettonico e corretto intervento urbanistico.
La degna conclusione dell’influenza del Futurismo si ritrova nella “Mostra delle Terre d’Oltremare” realizzata in soli due anni, sotto la guida del Commissario e promotore dell’Ente Vincenzo Tecchio, inagurata il 9 maggio del ’40, con impianto e opere di Marcello Canino, Carlo Cocchia, Luigi Piccinato, Giulio De Luca, Stefania Filo Speziale, Venturini Ventura, Roberto Pane, opera che regge il paragone con l’EUR, il quartiere romano per ospitare l’Esposizione Universale E42, entrambi simboli di città moderne, esempi di rapporto tra direzionalità e sviluppo, tra città e territorio.
In pochi anni vennero realizzate infrastrutture ed opere importanti, un vero miracolo.
Il regime nel ventennio rinnova la città e il suo hinterland, come la città industriale aeronautica di Pomigliano.
Il confronto con le iniziative urbanistiche più recenti è sconfortante, Centro Direzionale vero mostro, opera incompiuta partita dal 1962, affidata a Kenzo Tange per occultare l’incapacità amministrativa, gli interventi edilizi del dopoguerra, realizzati senza alcun ordine, i ritardi della ricostruzione della via Marittima, l’incompiuta Metropolitana collinare partita dal lontano 1972, sono esempi della sciagura di questa città.
Sorvoliamo sulla ricostruzione del dopo terremoto, sfociata in tangentopoli, per approdare a Bagnoli che dall’81 oggi naviga ancora nel buio, dopo lo sperpero di ingenti risorse, per poi arrivare al danno recente della mancata raccolta dei rifiuti.
Tutti fallimenti dell’amministrazione di una sinistra arrogante, incapace e corrotta che governa questa nostra città da oltre 14 anni.

Documenti della scuola napoletana della storia dell’Architettura

Grandi contributi alla conoscenza dell’influenza del Futurismo sull’Architettura vengono dati dalle recenti pubblicazioni di Luigi Tallarico su Sironi e Boccioni.
Di importanza più specifica sono i testi del 1994 di Pasquale Belfiore e Benedetto Gravagnuolo “Napoli architettura e urbanistica del Novecento” editore La Terza, un’analisi puntuale di oltre duecento opere degne di rilievo, contributo della continuità di una scuola napoletana di storiografia architettonica, a questo testo va riconosciuto il merito di offrire alla storia un lavoro esauriente di quanto di architettura e urbanistica si è prodotto a Napoli negli ultimi anni.
Altro peso ha lo scritto di Renato De Fusco “L’architettura nella Napoli del Novecento” a cura dell’Electa della collana “Storia della città”, egli passa in rassegna la città di Napoli dall’Eclettismo Storico al Floreale, all’Architettura degli anni ’30, al costruito nel costruito, spazia dalle opere di Lamont Yang alla galleria della Vittoria, al neoclassicismo di Giulia Arata e finalmente all’Architettura degli anni ’30, presenza dominante dell’attività del Regime Fascista.
Rilevante importanza va assumendo oggi “Il Cerchio” rivista diretta da Giulio Rolando che, con i quaderni e gli inserti speciali, documenta sistematicamente l’impegno del Regime per questa nostra città, le pubblicazioni del quaderno del 1998 “Napoli: urbanistica e architettura del ventennio” e l’inserto n°62/63 del 2007 della rivista, dal titolo significativo “un altro regno è possibile” hanno promosso incontri con interventi di studiosi impegnati in  un dibattito promozionale per il riscatto di Napoli.

Domenico Orlacchio