Le quattro
giornate di Napoli, le giornate che non ci furono.
Conclusioni
di Enzo Erra
Enzo Erra, nato a Napoli nel 1926, giornalista e
scrittore. Volontario nella Repubblica Sociale Italiana, ufficiale della
Guardia Nazionale Repubblicana, venne destinato alla Divisione San Marco.
Aderì fin dai primi mesi al
Movimento Sociale Italiano, fu componente della Direzione Nazionale,
Segretario Nazionale Giovanile, direttore dell'organo ufficiale Lotta
Politica .
Si dedicò poi all'attività
professionale, collaborò ai settimanali Vita ed Epoca, fu notista politico
dei quotidiani Roma e La notte, scrisse per altri giornali e periodici.
Ripresa l'attività politica è stato
componente della Direzione e dell'Ufficio Politico del MSI-DN, e, dopo lo
scioglimento del partito, non ha aderito ad Alleanza Nazionale.
Ha pubblicato :" Il cappotto di
Napoleone", "Napoli 1943 -le quattro giornate che non ci
furono" e "Le radici del fascismo", di cui è uscita
recentemente la seconda edizione.
Segue una attiva linea revisionista
sulle pagine della rivista "Storia Verità".
Qui si vede la diversità assoluta tra
noi e "loro" perché questo fa apparire una determinazione che non
ha mai spinto nessuno di noi.
A chi di voi mai è venuto in mente di
arruolarsi per ammazzare un comunista o per fare fuori un antifascista? In
guerra quando abbiamo dovuto sparare lo abbiamo fatto, ma che fossimo
animati da tali sentimenti, no, neppure il più fazioso di noi e questo
spiega perché i fascisti rimasti qui al sud non fecero attentati. Non
abbiamo ammazzato nessuno, non abbiamo fatto scoppiare bombe, non abbiamo
provocato stragi, non abbiamo fatto in sostanza tutto quello che invece i
partigiani facevano al nord.
Non sarebbe stato difficile, per
esempio, ammazzare un ufficiale americano. Ci sarebbe stata una vendetta
spaventosa che ci avrebbe fatto gioco: gli americani che apparivano così
buoni e simpatici, che distribuivano sigarette e caramelle, si sarebbero
messi a distribuire pallottole e piombo.
I partigiani questo facevano al nord,
sparavano sui tedeschi a differenza di perché sapevano che la reazione
tedesca sarebbe stata violentissima ed indiscriminata.
Una polemica che ancor oggi ha avuto
strascichi di polemiche con il "caso Priebke". E' evidente che i
comunisti hanno fatto la strage di Via Rasella per provocare le Fosse
Ardeatine.
Voi fascisti del Sud avete mai pensato
di fare qualcosa del genere?
Di fare un attentato ad una colonna
americana di passaggio perché poi gli americani se la prendessero con la
popolazione.
Nessuno l'avrebbe fatto e non solo perché
Mussolini lo vietava al Sud, perché Mussolini queste cose le vietava anche
al Nord.
Perché Ferruccio Parri è diventato
presidente del Consiglio invece di essere messo al muro come doveva essere
messo per il personale intervento di Mussolini che lo ha salvato.
Mussolini invece è morto nella maniera
in cui è morto perché non era un fascista fazioso ma perché era generoso,
perché se fosse stato inflessibile sarebbe morto nel suo letto.
Mussolini al Nord come al Sud non volle
spargere sangue italiano, non voleva essere trascinato in una guerra civile
lui che aveva governato, che aveva imposto l'Italia al rispetto del mondo,
che aveva fondato colonie, che aveva amato il popolo come poteva volere la
guerra tra Italiani?
Lui non poteva e noi nemmeno, cari amici
e camerati, perché l'ultima cosa che io vorrei fare è sparare ed
uccidere..
L'attività del fascismo al Sud ha una
diversità profonda dall'attività partigiana al Nord.
Ciò è stato illustrato dal bellissimo
intervento del prof. Parlato che io ho ringraziato di persona e vorrei
ringraziare pubblicamente per il contributo di scienza, di sapienza che ci
ha portato.
Vorrei aggiungere una cosa di grande
importanza.
Parlato nota che l'esistenza di un
fenomeno clandestino al Sud è in un certo senso più importante del
fascismo repubblicano al Nord, perché il fascismo della RSI si riunisce
intorno a Mussolini, intorno ad una bandiera che era stata rialzata, intorno
ad un partito che giustamente ambiva a permeare l'intera vita della nazione
ridiventando un organo politico fondamentale (funzione che si era appannata
negli ultimi anni del regime) per trasformarsi anche in struttura di
combattimento.
Al Sud tutto questo non c'è; non c'è
Mussolini, non c'è il partito, non ci sono sedi, non c'è modo di riunirsi,
ma c'è il fascismo.
Quello che si è potuto constatare oggi,
in questi nostri lavori e che abbiamo sentito tutti è la conferma di una
sensazione che avevamo sin da allora sulla necessità di questo fascismo qui
nel Mezzogiorno. Un fascismo che non si sa su cosa faccia leva, come nasca
sotto l'occupazione straniera, senza un comando, senza un riferimento,
soprattutto senza una speranza, perché al Sud come al Nord sapevamo che la
guerra era persa.
Questo fascismo era fondato su se stesso
perché poteva contare solo su se stesso ed esisteva perché aveva in sé la
forza di esistere.
Un altro aspetto di questo fenomeno che
appare più evidente al Nord, è che la RSI è stata una repubblica
fascista, ma vi hanno aderito anche tanti che fascisti non erano e che
accorsero per riscattare la ferita inferta alla Patria dal tradimento,
dall'8 settembre, dalla disfatta.
Ma dove sarebbero accorsi se non ci
fossero stati i fascisti?
Che cosa mosse tanti dopo l'armistizio a
creare i primi centri di difesa, a riaprire le federazioni delle città
prima ancora che Mussolini si facesse sentire ? Dice il prof.Parlato che
tutto sarebbe andato avanti anche senza Mussolini, io questo francamente non
so; io per la verità mi mossi solo dopo aver sentito la sua voce da Radio
Monaco.
Ma questa è la mia opinione, forse è
vero quello che dice il prof. Parlato: ci fu un vasto movimento che
prescindeva persino da Mussolini. Anche così il fascismo consisteva in se
stesso. Allora questo vuol dire che il fascismo esisteva.
Mi sono ribellato quando ho sentito
citare male una frase del nostro illustre presidente della Camera dei
Deputati. Violante avrebbe detto che bisognava comprendere le ragioni che
hanno spinto tanti giovani nella RSI.
No, Violante non ha detto solo questo.
Violante ha detto esattamente."dobbiamo cercare di capire perché tanti
giovani, uomini e donne hanno deciso di combattere contro la causa del
diritto e della libertà"
Immaginate un pò se noi possiamo
permettere che uno che è stato eletto nelle liste comuniste venga a parlare
a noi della causa della libertà.
Su queste parole c'è stato un grosso
equivoco. Perché, vedete, il punto è proprio questo: solo se si ammette
che il fascismo esiste, che è una delle forze direttrici del ventesimo
secolo, che il ventesimo secolo origina e cammina sulla liberaldemocrazia,
sul marxismo e sul fascismo, ci si spiega la RSI e ci si spiega il fascismo
clandestino al Sud e si spiega come dopo la sconfitta, dopo aver perso tutto
ci siamo subito ritrovati.
Nel 1945 qui a Napoli ho ritrovato Ugo
Salerno, ho ritrovato Aldo Serpieri, Renato Solimena e tanti altri; ci siamo
rimessi insieme, abbiamo rifondato un partito, abbiamo rialzato una
bandiera, ci siamo ricostruiti subito e, come ho già detto, siamo persino
riusciti a mandare un deputato alla costituente. Subito dopo nelle elezioni
del '48 alla Camera ne mandammo 6. Come sarebbe stato possibile tutto questo
se il fascismo non fosse stata una forza autonoma fondata su se stessa.
Ecco che l'attività del fascismo
clandestino al Sud dimostra questo nel modo più limpido. Lo dimostra anche
la RSI, lo dimostra anche dopo il MSI ma nell'ambito sempre di una
prospettiva, di una logica.
Il fascismo clandestino al Sud non ha
invece nessuna logica, risponde solo al proprio impulso interiore, poderoso,
possente che fa affrontare la galera, il rischio della vita, la perdita dei
beni, della libertà, della famiglia. Perché, per che cosa?
Ecco la risposta all'interrogativo di
Violante: noi abbiamo una Idea che vale la sua, almeno vale quanto la sua.
Cari camerati, possiamo chiudere questi
lavori. Abbiamo dato prova a noi stessi e chi non è stato qui presente lo
potrà seguire attraverso la pubblicazione degli atti che questa idea ancora
non muore, ancora una volta vive in coloro che fanno vibrare in sè il
ricordo ma lo proiettano nel futuro come forza della società e della civiltà.
Credo che possiamo concludere i lavori.
Si è parlato di cose a cui non ho
partecipato perché, io napoletano sono andato verso il Nord il 28 settembre
43 e ho combattuto la guerra in RSI e non ho compiuto, come Gallitto,
incursioni al Sud. Per cui non posso portare l'esperienza diretta. Posso
portarvi una testimonianza del primo e del dopo. Ho ascoltato con piacere
Massimo Abbatangelo che io ho conosciuto quando aveva letteralmente i
calzoni corti a casa di suo padre Giorgio che mi fu indicato subito dopo la
guerra nel maggio/giugno 45 come uno di quelli che avevano tessuto le prime
reti a Napoli.
C'era suo padre, c'era un gruppo di
studenti molto numeroso al Vomero, c'era qualche altro gruppo sparso. Trovai
al Chiatamone un avvocato insediato nel suo studio che teneva i primi
contatti, i primi collegamenti e ci fece il nome di un candidato nella lista
dell'"Uomo qualunque" che noi riuscimmo ad eleggere.
Silvio Vitale ha detto prima che noi
eravamo pochi, è vero poco ho trovato ma quel poco si mise immediatamente
in moto tant'è che come ho detto mandammo un rappresentante alla
Costituente e non fu questa la sola dimostrazione di forza.
Io credo che, per chiudere questi
lavori, dobbiamo andare al senso profondo di questo dibattito.
Abbiamo messo in luce alcune questioni
che certo non si possono esaurire in questa giornata.
La prima è stata sollevata da Stefano
Arcella e poi ripresa da Ciccio Fatica: la differenza sostanziale tra
l'attività dei gruppi fascisti clandestini al Sud e l'attività dei
partigiani al Nord, differenza che si concreta innanzitutto in un diverso
comportamento ma anche in una diversità di obiettivi.
L'attività dei gruppi fascisti al Sud
si può dividere in due parti: una attività più politica, più
organizzativa, più tesa a tenere vivo il senso della presenza del fascismo
(come quella che si svolse in Sicilia e qui a Napoli) e poi l'attività di
cui ha parlato Gallitto, di quelli che venivano inviati al Sud per compiere
precise missioni di sostegno militare in aiuto concreto alle forze
combattenti fasciste e tedesche che operavano al Nord.
Dalla parte avversa l'obiettivo era
diverso, era quello di scatenare la guerra civile. L'antifascismo si è
mosso sin dall'inizio con lo scopo preciso di provocare una guerra civile;
nulla è avvenuto casualmente, anche quando si sparava sui tedeschi in
sostanza intendevano colpire noi.
Non voglio dilungarmi ma dirvi due o tre
cose alle quali ho assistito e che si sono verificate negli ultimissimi
giorni della presenza tedesca a Napoli durante le cosiddette quattro
giornate.
Io ho scritto un libro "Napoli 1943
- le quattro giornate che non ci furono" per confutare la storiografia
ufficiale e nessuno ha potuto smentire quello che ho detto. Neppure
l'attuale Assessore alla Cultura del Comune di Napoli che ha scritto di
recente un libro sull'argomento ha potuto confutare le mie tesi che si
basano soprattutto sul fatto che Kesselring diede l'ordine generale di
ritirata da Salerno al Volturno - vale a dire da 30 km a Sud di Napoli a 30
km a Nord di Napoli - il 16 settembre e questo è certissimo e risulta da
tutte le fonti.
Se il 16 viene dato l'ordine di ritirata
all'esercito tedesco, com'è possibile "scacciare dalla città a furor
di popolo" il 28 e il 29 le forze germaniche?.
Che cosa avvenne in realtà? Quei moti
iniziarono con atti di lotta fratricida. Il primo si verifica il 27 sera
alla contrada Pagliarone al Vomero Vecchio. Ecco che cosa avvenne.
Si sparge la voce che gli americani
stanno per arrivare in città ed allora dalla fattoria Pagliarone escono un
gruppo di persone che vi si erano nascoste per sfuggire ai bandi del
colonnello Scholl emanati il 22 sul servizio obbligatorio del lavoro.
Escono e prima di rendersi conto che gli
americani ancora non sono in città, incontrano un noto fascista, Vincenzo
Calvi, lo afferrano, gli tolgono la camicia e a colpi di frusta lo spingono
verso la masseria per fucilarlo. Vi dico questo perché tutta la storia
successiva fino a Piazzale Loreto è piena di gente che si arroga il diritto
di fucilare cittadini italiani senza averne alcun titolo per farlo e si
comincia addirittura il 27 settembre quando non c'era ancora niente: i
tedeschi non avevano sparato neanche una fucilata e già quei signori
volevano ammazzare un fascista.
Passa un tedesco in motocicletta, si
ferma perché vede questa scena e viene ucciso, al colpo arrivano altri due
tedeschi, questa volta con una motocarrozzetta, e vengono anche loro
colpiti, ma uno di loro, ferito, riesce a fuggire. Arriva un grosso
pattuglione di tedeschi che spara: gli armati fuggono a terra restano 5
passanti, poi i soldati rastrellano la zona.
La storia della resistenza, o della
cosiddetta resistenza, si svolge tutta così in questa sequenza: una vile
aggressione, un assassinio a tradimento, una reazione tedesca o fascista, i
cosiddetti partigiani che scappano, la gente che ci va di mezzo.
Per questo unico episodio il 27 viene
addirittura preso come il primo delle quattro giornate. Nella motivazione
della Medaglia d'oro alla città di Napoli viene così citata. Poi devono
essersi vergognati ed hanno spostato le date dal 28 al I ottobre senza
tenere conto che il I ottobre a Napoli c'erano già gli americani e non si
capisce contro chi diavolo i "patrioti" si dovevano ribellare.
Arriviamo al giorno 28. Sul 28 io posso
riferir un ricordo personale: ho attraversato l'intera città dopo aver
dormito nella notte tra il 27 e il 28 in quella che viene definita la tana
dell'orco, l'albergo Parco, dove era il comando di Scholl. Non vidi neanche
una sentinella davanti alla porta, neppure una.
La mattina poi attraversai tutta la città
fino a Piazza Carlo III senza sentire un solo colpo di fucile. Questo
affermo in piena mia scienza.
Nel pomeriggio poi, quello che successe
me lo ha raccontato bene Franco Tilena, figlio di Domenico il quale (aveva
forse otto anni) corse a vedere che fine stava per fare il padre nella
Federazione che era stata spostata da poco in Via Cimarosa, angolo Via Luigi
Sanfelice, perché la sede che era a Via Medina si era dovuta spostare a
causa dello sgombro della fascia costiera entro i 300 metri. Franco Tilena
mi ha raccontato che le cose sarebbero cominciate non con un attacco ai
tedeschi ma con un attentato con armi da fuoco contro i due militi che erano
di guardia davanti alla porta della Federazione. Uno dei due rimase ucciso:
un ragazzo. Ai colpi di arma da fuoco corsero i tedeschi e quindi ci furono
i primi scontri. A quel punto ci furono ancora numerosi disordini e alcune
sparatorie fino alle 18 quando un violento acquazzone investì e disperse i
ribelli.
Su questi fatti ho avuto un dibattito
con Max Vajro e Antonio Ghirelli al Circolo della Contea e lì dissi che i
guerriglieri erano provvisti di armi ma non di ombrelli e perciò avevano
dovuto rimandare la rivoluzione al giorno dopo causa il maltempo, e
purtroppo è la verità.
Il giorno 29 poi ci furono una serie di
scontri con ultimissime pattuglie tedesche che stavano uscendo dalla città,
appunto per raggiungere il grosso sul Volturno: erano circa 150/200 uomini,
i guastatori, gli artificieri, i genieri che stavano facendo saltare la
centrale elettrica e quella del gas. Per tutto il 29 ci furono altri
scontri, il 30 non ve ne furono affatto. Perché il 30 mattina alle cinque
il colonnello Scholl, come un buon comandante, ultimo, usciva dalla città.
Dietro di lui non c'era nessuno. Il 30 la città rimase in mano ad alcuni
individui scatenati i quali, come Ciccio Fatica illustra nel suo libro,
diedero la caccia al fascista che spesso si difese.
Ribadisco che il giorno 30 ci furono
scontri soltanto tra questi pretesi insorti e i fascisti perché i tedeschi
non c'erano più. Quindi questo esordio di "lotta partigiana"
comincia con un fratricidio, prosegue con un fratricidio e finisce con una
serie di fratricidi.